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Pioveva. Ottobre era un mese piovoso a quanto pare. L'acqua non dava tregua e io non davo tregua all'acqua. Quando iniziava a piovere, correvo in strada e urlavo al cielo di fare del proprio peggio, di buttare giù secchiate di pioggia perché era di quell'acqua che io mi bagnavo più volentieri.

Un pazzo, penserete, un folle che corre sotto i temporali senza un motivo. Ma chi ve l'ha detto che io non avessi un motivo per correre in mezzo alla strada mentre lampi e tuoni si appropriavano del mondo circostante e rendevano elettrica l'aria? Il motivo per cui correvo, la mia ragione si trovava sempre dal lato opposto della strada e mi correva incontro con le braccia larghe e un urlo stretto tra le labbra. Lo stesso urlo che fuoriusciva dalla mia gola.

"Avanti cielo, annegaci nella pioggia"

Chi poteva essere l'altro folle che insieme a me correva sotto l'acqua piovana, se non colui che riempiva il vuoto dentro di me, se non colui che la prima volta aveva corso da solo sotto il diluvio per venire a dirmi che sono imperfetto, se non lui, Shoto Todoroki.

Ogni volta che le nuvole grigie accennavano pioggia, noi riuscivamo a trovarci, ovunque fossimo, noi sapevamo dove incontrare l'altro. Sotto quel temporale. Allora, anche quella sera di metà ottobre, non appena sentii il primo tuono, mi alzai di scatto dalla sedia, abbandonai il libro di fisica sulla scrivania e corsi di sotto.

Lui era lì, era arrivato prima solo perché la sua stanza si trovava a un piano più basso della mia. Probabilmente eravamo fuggiti dalla costrizione della camera nello stesso identico istante, entrambi seguiti dallo sguardo perplesso dei nostri coinquilini. Denki non aveva nemmeno provato a richiamarmi, ormai aveva compreso che fossi inarrestabile quando si trattava di correre incontro a Shoto.

Arrivai alla porta a vetri del nostro dormitorio e lanciai un'occhiata alla strada che si bagnava e riempiva di pozzanghere. Mi guardai i piedi, avevo scarpe da ginnastica, simili a quelle da corsa, ma sapevo che Shoto, invece, avrebbe indossato le sue solite scarpe di tela e che, una volta finito il temporale, sarebbe tornato in stanza con i calzini fradici, tanto da doverli strizzare.

Riuscii a scorgerlo oltre la porta a vetri, già si trovava dall'altro lato della strada e aspettava solo me per iniziare a correre.

Quanto potevamo essere pazzi noi due, se ci bastava della pioggia per farci correre come dei forsennati.

Uscii e l'aria fredda dell'autunno mi investì con un vento misto ad acqua. Le gocce rese aghi dal vento mi colpivano il viso, ma non lo coprivo con il braccio, non volevo porre nulla tra me e l'immagine che avevo davanti.

Gli feci un segno con la testa, muovendo il mento verso di lui e lui a quella muta domanda "Sei pronto?" rispose annuendo e prendendo la rincorsa. Mi slanciai anche io verso di lui. Corsi con il fiato che si disperdeva nell'aria pregna di acqua e con i vestiti che si appesantivano sulle mie spalle.

Arrivai al centro della strada nell'istante in cui anche lui vi arrivò e lo strinsi, lo afferrai, lo sollevai addirittura di qualche centimetro e poi, insieme, alzammo il viso verso le nuvole grondanti e urlammo come se la nostra voce dovesse davvero raggiungerle.

"Avanti cielo, annegaci nella pioggia" e, come se ci fosse stato per davvero qualcuno lì in alto ad ascoltarci, la pioggia divenne temporale e ci investì. Girammo sotto l'acqua tenendoci per mano, urlandoci a vicenda i difetti che ci avevano fatto innamorare l'uno dell'altro.

"La cicatrice sul tuo ginocchio" indicai Shoto e lui sorrise.

"I tuoi capelli scompigliati" mi rispose, passandosi una mano tra i propri e cercando di impicciarli proprio come i miei.

"Le unghie della tua mano sinistra mangiucchiate" si guardò l'estremità delle dita, ma sapevo che ormai le sue unghie si erano risanate ed erano tornate della giusta lunghezza perché aveva smesso di mangiarsele da quando aveva smesso di doversi recare settimanalmente in ospedale.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora