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I giorni seguenti provai a incrociarlo in più posti possibili. Sapevo perfettamente i suoi orari e la sua routine. La mattina mi piazzavo fuori della sua stanza appena prima che si alzasse per andare al bagno ma, appena mi notava, si voltava e tornava in camera senza più uscire, o aspettando comunque che io mi stufassi di attenderlo in corridoio. A mensa non si faceva più vedere perché sapeva che avrei trovato il modo di assillarlo anche lì. In biblioteca provavo a parlargli, ma finivo col farmi sbattere fuori ogni volta dalla bibliotecaria che mi intimava di fare silenzio ancora prima che potessi sedermi al tavolo con Shoto.

Dopo i primi cinque giorni, cominciai a pregare Kirishima di farmi entrare, ma lui mi permise solo una volta di aspettare Shoto seduto sul suo letto, ma nemmeno quella volta finì bene, perché il bicolore, non appena mi vide, uscì di nuovo dalla stanza e non tornò fino al giorno dopo. Non seppi dove aveva passato la nottata e Kirishima non me lo disse, forse nemmeno lui lo sapeva.

Quando lo incontravo in corridoio, gli afferravo il braccio per trascinarlo in un posto appartato per parlare, ma lui riusciva sempre a divincolarsi e a evitare di dovermi ascoltare.

Non sapevo più che fare.

Alla fine, decisi di oppormi allo stesso Kirishima. Piantonai la porta della stanza di Shoto dalle sei di mattina, attesi un'ora seduto in mezzo al corridoio, quando alle sette sentii il rumore della maniglia, scattai in piedi e fissai la porta. Questa venne aperta dal rosso, perché ormai Shoto non voleva più essere il primo ad affacciarsi perché non voleva incontrarmi e io, ancora prima che potesse dirmi "Bakugou, vattene", come faceva ogni mattina, gli afferrai il polso, facendogli sgranare gli occhi scarlatti, ancora leggermente appannati per il sonno, lo tirai di forza fuori della sua stanza e io mi lanciai, invece, dentro, chiudendomi la porta alle spalle.

Davanti mi ritrovai Shoto in tuta, in piedi accanto al suo letto, che mi guardava con un misto di perplessità e rabbia.

"Hai appena sbattuto Kirishima fuori della sua stessa stanza?"

"Sì, l'ho fatto"

"E non ti senti una merda per averlo fatto?" inclinò la testa, facendo mischiare le ciocche bianche con quelle cremisi. Avrei voluto avvicinarmi e rimettergliele in ordine, ma mi trattenni.

"Affatto, capirà"

"Ah giusto"

"Come, scusa?" chiesi, corrugando la fronte e stringendo la mandibola.

"Gli altri devono capire, mentre tu sei giustificato, sempre. Tu puoi anche non capire un cazzo, giusto?"

"Sei ingiusto, Shoto" era vero che, quando avrei dovuto capire la situazione in cui si era ritrovato lui, io avevo fatto di tutto per rimanere cieco di fronte alla verità, ma stava esagerando, almeno secondo me.

"Mi sto comportando esattamente come hai fatto tu. Mi hai trattato come fossi la peggior feccia esistente e sai la cosa peggiore quale è?"

Lo guardai, aspettando che proseguisse.

"Che mi ci hai fatto sentire. Mi hai fatto sentire sporco per qualcosa che non avevo commesso. Mi sono fatto schifo da solo per un bacio che non avevo voluto, che mi ha fatto ribrezzo e mi ha messo paura"

"Paura?"

"Certo! Come credi che ci si senta quando si viene costretti a qualcosa che non vogliamo? Avrei preferito mi picchiasse, che mi insultasse, qualsiasi cosa, tranne ciò che solo tu saresti stato in diritto di fare: baciarmi o altro"

Possibile che non ci avessi pensato? Possibile che non mi fosse passato per la mente ciò che effettivamente aveva provato lui nel trovarsi costretto contro un muro con quel ragazzo più forte di lui sopra che si avvicinava sempre di più?

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora