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Arrivarono le piogge estive, quei temporali che hanno la capacità di allagare all'improvviso le strade con i tombini otturati. Quelle tempeste che si portano appresso i lampi e i tuoni. Amavo quel periodo dell'anno, l'acqua che cadeva a secchiate sulla terra e rinfrescava l'ambiente. Ero solito spalancare la finestra e affacciarmi per sentire le gocce rimbalzare sui vetri aperti e colpirmi il viso accaldato. Era liberatorio mischiare la confusione della mia mente con i rumori naturali della pioggia. Chiudevo gli occhi, mi materializzavo in mezzo a quegli uragani, immaginavo il mio corpo trasportato via dalle spire del vento miste ad acqua e lasciavo che l'illusione di allontanarmi dalla terra ferma mi facesse respirare di nuovo con libertà. Da quando avevo confessato ciò che nel profondo provavo per Shoto, nel mio petto aveva preso forma un peso che mi impediva di riprendere aria, mi sembrava di rimanere in costante apnea, anche se fisicamente era impossibile, la sensazione era assolutamente quella.

Le lezioni erano finite, mancavano solo gli esami e così avevo deciso di rimanere al campus, come anche Denki, Kirishima e, ovviamente, anche Shoto. Non chiesi di persona cosa avesse scelto il bicolore, mi informò inconsapevolmente il rosso, dicendo che con il suo compagno di stanza aveva programmato un piano di studi infallibile per riuscire a dare più esami possibili in un solo mese.

Si recavano sempre tutti e tre in biblioteca per studiare dalla mattina alla sera, io, invece, me ne rimanevo in stanza, da solo, lontano da quel paio di occhi spaiati che sembravano volermi ammaliare ogni singola volta che li vedevo per sbaglio in corridoio o per strada mentre mi spostavo da un edificio all'altro. Sapere che, durante la giornata, Shoto sarebbe stato nel palazzo della biblioteca, quello più distante di tutti, mi tranquillizzava un po' e mi dava un motivo in più per rimanere nella mia stanza inchiodato alla scrivania con la faccia nei libri. Sono consapevole che ciò che facevo era classificabile come fuga dalla verità, ma in quel momento non sapevo che altro fare. Avevo confessato tutto al bicolore ed ero stato rifiutato, non potevo pretendere di poter far tornare tutto alla normalità nel giro di qualche settimana.

Alzai lo sguardo oltre la finestra, era buio, diluviava come se il Dio della pioggia si stesse accanendo sulla terra con l'aiuto di Zeus che lanciava i suoi lampi proprio nel mio campo visivo, illuminando a giorno il panorama oltre la finestra. Sobbalzai sulla sedia quando qualcuno iniziò a colpire ripetutamente la porta, per un attimo confusi quei colpi con il rumore assordante dei tuoni, ma subito mi resi conto che quel chiasso era prodotto da qualcuno oltre l'anta della porta. L'ultima volta che era successo era stato Denki che, dimenticatosi le chiavi sul comodino, era rimasto chiuso fuori in piena notte.

Mi alzai dalla sedia sbuffando sia perché non mi andava di andare ad aprire la porta, sia perché mi aveva giurato che quella sera sarebbe rimasto a dormire in stanza di Kirishima e che quindi avrei avuto una serata di pace senza le sue continue parlantine e il suo continuo descrivere quanto fosse fantastico il suo ragazzo. Ogni tanto avevo bisogno di passare la notte da solo perché era il momento in cui permettevo alla mia mente di invadere il mio corpo, mi lasciavo trasportare, è difficile da ammettere, ma piangevo, mi faceva bene piangere di nascosto ogni tanto. Di solito, quindi, aspettavo che Denki decidesse di passare la notte dal suo ragazzo e io ne approfittavo per sdraiarmi nel letto, stringere il cuscino e lasciar correre le lacrime in modo tale che, per quando fosse sorto il sole, le avessi consumate tutte e potessi ricominciare la giornata facendo finta di niente. Mi faceva bene piangere e quei temporali estivi mi facevano sentire meno solo perché, almeno, sapevo che le mie lacrime non sarebbero state le uniche a bagnare la terra.

Spalancai la porta e fui pronto a insultare quel biondo fin troppo energico, ma mi bloccai non appena mi resi conto che il ragazzo zuppo dalla testa ai piedi non era il mio coinquilino.

Shoto grondava acqua, i capelli gli si erano appiccicati alla fronte e alle guance, rivoli d'acqua gli percorrevano il profilo della mascella e bagnavano la moquette sotto i suoi piedi. La bocca era leggermente aperta e il labbro inferiore tremava in modo convulso. Teneva gli occhi spalancati come se fosse giunto fin lì scappando da un tirannosauro o da un velociraptor. Ero indeciso su che dinosauro lo avesse inseguito per fargli assumere un'espressione del genere.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora