Il prelievo del midollo fu doloroso, lo ricordo bene, come se mi stessero aprendo l'osso per ricavarne il nettare nascosto al suo interno, il concetto più o meno era quello, in fondo. La fitta mi percorse il corpo, partendo dal bacino, dal punto in cui avevano inserito l'ago, fino alla nuca, brividi di dolore che si irradiavano seguendo le fibre nervose, andando ad intercettare ogni singolo nocicettore del mio corpo.
Trattenni le urla e cercai di distrarmi, non riuscivo a contare nulla in quella sala, la vista era leggermente appannata dalle lacrime, così chiusi gli occhi e mi concentrai sui colori che potevo riportare a galla nella mia mente, quasi istantaneamente, senza che me ne rendessi conto, fecero il proprio ingresso il turchese e il grigio fumo. Non erano affatto due colori casuali, tutto ciò che stavo facendo in quel momento, il motivo per cui io mi trovassi sdraiato in un letto di ospedale con un ago conficcato nel bacino, era per salvare quei colori, per permettere loro, anche in futuro, di illuminare la terra con la loro luce brillante.
Lo faccio per lui, pensai stringendo i pugni. Per quello sguardo che mi toglie il fiato. Era assurdo come tutto fosse cambiato nel giro di alcuni mesi. Quando lo avevo conosciuto, la prima cosa che avevo pensato era stata quanto fosse seccante la sua lentezza nel dover scegliere qualcosa alla macchinetta. Ed ora, dopo relativamente poco tempo, mi trovavo disteso su di un letto, pronto a farmi prelevare tutto il necessario che sarebbe servito per salvarlo e a dargli la possibilità di ricominciare a creare la fila davanti alla macchinetta del caffè. In quel momento, quando capii a cosa avrebbe portato quel mio gesto, seppi cosa dovevo contare per distrarmi.
Cominciai ad elencare mentalmente ciò che avrei salvato con quella donazione. Le sue smorfie divertite quando rispondeva alle mie frecciatine. Le sue dita che correvano sul davanzale della finestra come se seguisse i disegni degli stormi nel cielo. Il suo sopracciglio color latte che si inarcava quando era perplesso. I suoi singhiozzi dopo aver mangiato, aveva questo strano riflesso involontario, un singolo singhiozzo dopo ogni pasto, non sapeva il motivo per cui avesse quel riflesso, ma io lo trovavo particolarmente buffo. Ma, soprattutto, avrei salvato quelle iridi spaiate, quello sguardo risoluto che cercava sempre il punto più luminoso della stanza in cui si trovava, come se sapesse che in quel modo le pupille si sarebbero ristrette e i colori eterocromi sarebbero diventati ancora più ipnotizzanti.
Chissà se quei colori, quegli occhi, erano ipnotizzanti anche per il resto del mondo o se avevano quell'effetto esclusivamente su di me. Non sapevo cosa sperare, in realtà. Non sapevo se avrei preferito non essere l'unica vittima che cadeva in balia di quei colori, oppure se speravo proprio di essere l'unico al mondo a riuscire a farsi conquistare e controllare da quelle iridi spaiate. E poi, chissà se Shoto era a conoscenza del potere che esercitava su di me o se, come pensavo, fosse completamente ignaro di ciò che mi causava il suo sguardo.
Il dolore cessò e io potei voltarmi per guardare il medico che aveva effettuato il prelievo. Non riuscivo a vederlo bene, l'immagine era leggermente sfocata, potevo distinguere il colore del green e del camice che gli copriva le spalle, ma di certo non potevo comprendere con che espressione mi stesse guardando. Lui annuì, il movimento lo distinsi, e si rivolse al personale medico dando indicazioni precise sul da farsi. Non compresi i termini medici che usò, o forse parlò come un comune essere umano, ma io ero troppo stanco per capire qualsiasi frase avesse tirato fuori. Feci in tempo a vedere i suoi assistenti uscire dalla stanza e il medico dirmi che il mio era stato un gesto degno di un eroe, poi chiusi gli occhi, le palpebre calarono senza che io me ne accorgessi.
Mi addormentai appena fui sicuro che il prelievo del midollo era andato a buon fine, perché dopo le parole rassicuranti del medico non potevo avere dubbi sulla riuscita del prelievo, e quando riaprii gli occhi mi trovavo in una stanza d'ospedale spoglia. Visti da quella prospettiva, una prospettiva dalla quale, per fortuna, non avevo mai avuto la possibilità di vedere, i soffitti sembravano estremamente alti e le pareti lontane. Stare sdraiato su di un letto con le sbarre laterali dava l'idea di esser tornato bambino, a quel periodo della mia vita in cui il lettino necessitava di una protezione per evitare che io cadessi a terra. Mi guardai intorno con gli occhi ancora mezzi chiusi, come se alzare completamente la palpebra richiedesse più forze di quelle che mi scorrevano in corpo, e trovai nel letto accanto al mio, stranamente con le sbarre abbassate, Shoto. Dormiva in modo sorprendentemente silenzioso e io rimasi ad osservarlo. I raggi caldi del sole si posavano sulle sue guance arrossandole appena e i capelli vermigli erano messi in risalto dalla federa bianca del cuscino. Verso di me era rivolto il suo lato sinistro e così potei guardare con attenzione quella bruciatura che gli incorniciava l'occhio che, nonostante fosse nascosto dalla palpebra abbassata, sapevo fosse di un turchese brillante. I contorni di quella cicatrice ricordavano proprio i bordi di una pozzanghera. Forse, il fatto che fossi a conoscenza di come si fosse procurato quella cicatrice mi convinceva che avesse proprio la forma di una raccolta d'acqua. Potevo immaginare in modo vivido la maniera in cui quell'acqua bollente gli aveva accarezzato brutalmente il volto marchiandolo a vita.
"Non ero degno di un gesto così grande" sospirò con fatica e aprì gli occhi in direzione del soffitto. Forse lui si era abituato a vedere le pareti della stanza da quella prospettiva.
"Lascia che sia io a decidere se sei degno o no" sorrisi perché da quel momento non mi sarebbe importato nulla del fatto che avrebbe ricominciato a odiarmi o ad insultarmi. Era vivo, sarebbe sopravvissuto fino alla laurea, fino a un ipotetico matrimonio, fino a vedere la laurea dei suoi figli, fino al mio funerale, perché sì, avevo già deciso che non avrei più provato quella sensazione terribile, quella paura di perderlo per sempre, e quindi avevo anche deciso che sarei stato il primo a morire tra i due. Ciò significava che, se fossi stato disposto ad arrivare a cent'anni, lui avrebbe dovuto resistere almeno fino ai centouno.
Non rispose a quella mia opposizione, rimase in silenzio. Lo vidi solo chiudere lentamente gli occhi e lasciar scendere una singola lacrima che sembrò lenire il dolore di quella vecchia cicatrice. Probabilmente, la cicatrice che in quel momento gli stava facendo male era un segno non visibile dall'esterno.
Osservai lo scorrere della lacrima e attribuii a quella goccia salata la paura che aveva avuto nell'essersi avvicinato alla morte. Anche se era stata una sua scelta quella di morire per mano della malattia, non doveva esser stato semplice realizzare che quello era l'unico modo per dimostrare di non essere soggetto al potere del padre. Oltretutto, lui si era anche convinto, per colpa dei maltrattamenti del padre, di non esser degno di venir salvato e quindi, inconsapevolmente, anche la sua scelta di morire sarebbe risultata come una decisione guidata dal controllo di quell'uomo. Sembrava non aver scampo dal passato che lo aveva tormentato per anni.
Io fui dimesso quel giorno stesso, avrei voluto poter condividere un po' più di tempo la stanza con il bicolore, ma non potevo di certo occupare un posto letto in ospedale se la mia salute non richiedeva un ricovero. Shoto, invece, rimase in quella stanza vuota per qualche giorno. Credo dovessero monitorarlo, esser sicuri che il trapianto di midollo fosse andato a buon fine e che si riscontrassero degli esiti positivi il prima possibile. Potevo immaginarmelo mentre si lamentava con gli infermieri che andavano da lui a prelevargli il sangue per le analisi o semplicemente andavano a chiedergli come si sentisse. Avrebbe dato fastidio anche a me venir punzecchiato tutti i giorni o non poter avere un attimo di pace per starmene da solo a dormire.
Si inventò una scusa con Shinso, gli disse che era tornato per qualche giorno a casa perché Natsuo si era lamentato della sua assenza e Fuyumi, la sorella, aveva promesso che gli avrebbe preparato i suoi piatti preferiti. Pensai a che scuse stupide gli bastasse inventare per evitare di dire la scomoda verità. Mi chiesi se fosse normale il fatto che fosse così semplice celare al mondo la propria morte imminente o, come in quel caso, la scampata morte.
Ero ancora incerto se fosse la cosa giusta tenere nascosto un particolare così importante della sua vita al suo ragazzo, fossi stato in Shinso io avrei voluto saperlo se la persona che amavo stava soffrendo o stava passando giornate intere chiuso in un ospedale, ma io non ero nessuno per mettere in dubbio le scelte di vita del bicolore. Soprattutto perché ormai sapevo che, una loro eventuale rottura, avrebbe solo giovato al mio umore.
Ero egoista? Un pessimo amico? Sì, ma non mi importava, il mio midollo era nel corpo del bicolore e tanto bastava per farmi sentire parte della sua vita, speciale se così vogliamo definire un donatore per il ricevente.
Tutta la parte descrittiva riguardante la donazione del midollo è di mia inventiva, non rappresenta affatto la realtà!
La donazione di midollo non causa alcun dolore, è stata resa nel modo più romanzato possibile per rispettare la trama e sottolineare la crescita del personaggio. Ad oggi la donazione di midollo è paragonabile a un prelievo ed è uno dei gesti più altruisti esistenti al mondo.
Se potete, DONATE!
Donate il sangue, il midollo, segnatevi come donatori di organi, sono gesti di un infinito altruismo che rispetto con tutta me stessa.
GRAZIE❤
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L'imperfezione della necessità
FanficQuando odi una persona le auguri i peggiori mali al mondo, ma, quando scopri che nasconde un segreto e che il male vive accanto a lui, tutte le tue certezze crollano e vorresti solo esser rimasto all'oscuro di quel pesante segreto. Una enemies to l...