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Distrarmi con lo studio era davvero una delle scelte peggiori che potessi fare. Non riuscivo a capire nulla di ciò che leggevo e anche il respiro pesante di Denki che dormiva nel mio letto, il suo era stracolmo di vestiti e impossibile da usare, riusciva a deconcentrarmi. Mi girai per vedere in che posizione si fosse addormentato il mio compagno di stanza e lo trovai abbracciato al mio cuscino. Digrignai i denti, il pensiero che la sua bava avrebbe potuto contaminare la mia federa mi disgustò.

Mi alzai scansando la sedia e mi allontanai dalla scrivania. Tanto era inutile continuare a fingere di studiare, chi stavo prendendo in giro oltre a me stesso? Nessuno era lì per controllare che studiassi, quindi non aveva alcun senso rimanere inchiodato alla scrivania a fissare una pagina che, per quanto mi riguardava, poteva anche riportare per iscritta la formula della felicità eterna. Non avevo idea di cosa avessi letto fino a quel momento.

Scossi piano il biondo e lo destai. Aveva gli occhi impastati di sonno e il naso rosso per averlo premuto contro il mio cuscino. Mi lasciai cadere sul materasso e rimasi qualche istante seduto con lo sguardo puntato verso la parete opposta. Denki aveva attaccato diversi poster, alcuni raffiguravano personaggi di libri che aveva letto e amato talmente tanto da arrivare a stalkerare gli autori sui social e provare a incontrarli nei bar o nei negozi di abbigliamento che frequentavano maggiormente, altri poster, invece, erano gigantografie di animali selvatici che aveva preso con qualche rivista naturalistica. Non si sarebbe mai pensato guardandolo, ma non era il tipico ragazzo con i muri tappezzati di poster di gruppi musicali, era più simile a uno di quei ragazzi che banalmente verrebbero definiti nerd. Aveva attaccato alla parete anche diverse foto che ritraevano noi: me, lui, Kirishima, Shinso e qualcun altro che io ritenevo meno importante e che quindi non ricordo nemmeno più di aver visto apparire in quelle foto.

"Che succede, Baku?" anche Denki si tirò su e si mise seduto al mio fianco.

"Secondo te, Kirishima e Shinso escono insieme?"

Lo sentii trattenere per un istante il respiro e poi scoppiare in una fragorosa risata. Si stava prendendo gioco di me, era evidente, rideva talmente sguaiatamente che sembrava volesse lasciar intendere che fossi un idiota. Lo fulminai e lui si strozzò con le sue stesse risate. Si schiarì la voce e mi sorrise gentilmente.

"Cosa te lo fa pensare?" chiese continuando a mostrare quel suo sorriso simile a quello di un'infermiera del reparto pediatrico. Diverso tempo prima, una delle tante volte che ero andato a riportare le chiavi a mia madre in ospedale, mi era capitato di incrociare in corridoio un'infermiera con un bambino per mano, avevo notato il modo in cui lei sorrideva al giovane paziente e non avevo potuto non paragonare il suo sorriso dolce a quello del mio amico Denki. Inutile dire che avevo anche realizzato che Denki avrebbe potuto avere un futuro come maestro d'asilo, sapeva farsi amare da chiunque, qualsiasi fosse l'età del suo interlocutore, quello finiva col pensare che Denki era fantastico e unico nel suo genere. Anche mia nonna, quando aveva avuto l'occasione di incontrarlo, mi aveva detto che era speciale e di tenermelo stretto perché di ragazzi come lui nel mondo ne esistono ben pochi, si contano sulle dita di una mano.

"Oggi ho incrociato Shinso che andava da Kirishima. Nessuno dei due mi ha detto nulla, come se non volessero uscire con qualcun altro" spiegai mantenendo il tono di voce abbastanza basso da farlo risultare quasi impassibile. Forse solo a me sembrò un tono impassibile, perché subito dopo sentii la mano di Denki poggiarsi tra le mie scapole, come se mi stesse confortando. Aveva un tocco leggero, estremamente delicato, sembrava quasi che mi stesse carezzando con la paura di graffiarmi.

"Non hai capito nulla, Bakugou"

Si alzò e mi fece segno di seguirlo. Non avevo idea di cosa volesse fare o di cosa avesse in mente, ma io mi incamminai dietro di lui senza porre domande. Continuava a sorridere e passeggiava come se nulla fosse con le mani in tasca.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora