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Non avrei mai pensato potesse essere possibile, ma piansi senza accorgermene in mezzo a un corridoio pieno di studenti, di miei coetanei che non avrebbero mai dimenticato il mio volto rigato di lacrime. Ciò che era assurdo, però, era la mia incapacità di controllare le emozioni che defluivano dal mio corpo come fossero diventate un fiume. Fu quello uno dei giorni che avrei voluto dimenticare, ma che ora comprendo sia stato fondamentale per la mia vita attuale.

Eravamo guariti da ormai diversi giorni, giravamo ancora con scatoline di tachipirina e pacchetti di fazzoletti in tasca e Shoto con la sciarpa per coprire la gola che ancora gli bruciava, ma quelli erano gli ultimi strascichi dell'influenza, per il resto non avevamo nulla, né una linea di febbre né brividi di freddo. Ogni tanto mi colava il naso, mi sfuggiva uno starnuto, ma potevo ritenermi fortunato, Denki aveva ancora i dolori articolari e Shoto ancora la tosse che continuava a scuoterlo e a obbligarlo a uscire durante le lezioni per non disturbare.

Shinso si era preso cura di noi, si era presentato al dormitorio molto spesso e di solito si fermava a cena con noi, ma raramente aveva chiesto di rimanere a dormire nel letto vuoto di Denki. Perché, come era ovvio che fosse, io e Shoto avevamo continuato a condividere un letto singolo, come potevo immaginare stessero facendo anche Kirishima e Denki.

Quella mattina avevo sentito il viola che mi aveva chiesto come procedesse la convalescenza e io gli avevo proposto di venire a valutare lui stesso, non avrei mai pensato che quella mia proposta avrebbe scatenato l'episodio che mi aveva visto disperato nel mezzo di un corridoio, perché fu proprio lui a farmi allungare la strada e a condurmi di fronte a una scena che non avrei dovuto vedere.

Mi affrettai a uscire dall'aula per incontrare Shinso che mi aspettava proprio oltre la porta. Mi salutò con una mano alzata e io, invece di ricambiare il saluto come avrebbe fatto chiunque, gli corsi incontro e battei il cinque sul suo palmo che ancora si muoveva per salutarmi.

"Sembri euforico" mi fece notare e io ricambiai quella sua affermazione con un occhiolino.

"Oggi non ho ancora dovuto prendere nessun medicinale per il mal di testa"

"Credo che tu ne stia abusando, di medicine"

Sbuffai e scrollai le spalle. Non prendevo mai medicinali, mai, ma quando capitava che mi saliva la febbre allora, pur di farmela passare, ero disposto ad ingerire qualsiasi pasticca, capsula, bustina orosolubile disponibile in farmacia. Shinso scosse la testa e si incamminò, come se volesse guidarmi nel mio stesso campus, ma ormai era di casa e lo lasciai fare. Non avrei dovuto, perché mi avrebbe portato a fraintendere una situazione a dir poco fraintendibile.

Shinso camminava e gesticolava, gesticolava e camminava. Sembrava che in quei cinque giorni che non si era presentato al campus fosse successo il corrispettivo di quanto potrebbe accadere in una saga di sette libri. E io ascoltavo ciò che aveva da dirmi, non mi distraevo eccessivamente, un po' sì, ma è normale distrarsi ogni tanto.

Quando, poi, girammo l'angolo, lo vidi. Quando lo vidi, mi pietrificai. Quando mi pietrificai, il cuore smise di battere. Ero morto, o almeno avrei voluto esserlo. L'aria nei polmoni non era altro che fumo, fumo di una sigaretta spenta che si incanalava negli alveoli e mi impediva di respirare. Avrei voluto diventare cenere di quella stessa sigaretta, svanire in una folata di vento e smettere... smettere di esistere.

Shoto si trovava con la schiena poggiata contro la parete del corridoio, quel cazzo di corridoio che non avrei dovuto percorrere perché conduceva dalla parte opposta rispetto al mio dormitorio, e stava baciando un altro, uno sconosciuto dai capelli scuri come il carbone e la corporatura di un nuotatore olimpico. Shoto gli teneva le mani sulle spalle, ma non potei far caso ad altro perché mi si annebbiò la vista, non riuscii a vedere ciò che accadde subito dopo, non compresi le prime parole che mi giunsero alle orecchie, tutto ciò che riuscii a fare fu scuotere la testa e urlare a pieni polmoni in mezzo a quel dannato corridoio.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora