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Nel momento in cui aprii la porta, la speranza di trovarlo ancora lì, seduto a terra con la schiena poggiata contro l'anta, mi strinse il cuore, ma non c'era, era ovvio che non ci fosse, non potevo pretendere una perseveranza così intensa se da parte mia non c'era stato il minimo segno di cedimento.

Corsi lungo il corridoio e giù per le scale, raggiunsi la porta della stanza di Kirishima e Shoto e bussai con foga, con impazienza. Mi rispecchiai in ciò che doveva aver vissuto il bicolore i giorni passati: agitazione, nervosismo, ansia di vedere la stanza venir aperta da lui.

Le nocche si scontravano con il legno, si arrossavano sempre di più ad ogni colpo e il rumore si ripercuoteva lungo tutto il corridoio, addirittura il ragazzo della porta accanto si affacciò perché convinto che stessi bussando a lui. Dovevo parlare con Shoto, chiarire ciò che fino a quel momento non avevo nemmeno voluto prendere in considerazione.

Ero stato un idiota, ma ogni idiota che si rispetti ha qualcuno al suo fianco che lo ama proprio perché è tale. Forse, però, io mi ero comportato ancor peggio di un semplice, ingenuo, idiota.

Mi aprì Kirishima che mi guardò prima con sguardo confuso e poi risoluto, come se avesse realizzato il motivo per cui mi trovassi lì. Lui sapeva leggermi dentro, ma in quel caso, molto probabilmente, era stato avvertito da Denki su ciò che era successo, sul fatto che finalmente lo avevo ascoltato e avevo accettato la verità.

"Finalmente hai capito che sei un cretino"

"Sì, cioè no. Ho capito cosa è successo"

"E che sei un cretino" ripeté il rosso innervosendomi.

"Perché continui a..."

"Perché il tuo sbaglio più grande non è stato equivocare ciò che avevi visto, ma non voler ascoltare Shoto" spiegò e mi colpì in pieno, non fisicamente, ma con le parole. Sapevo che aveva ragione e che ero stato un idiota, ma sentirglielo dire era tutt'altra storia.

"Va bene, ma io..."

"Hai idea di quanto sia stato male Shoto? Di quanto abbia pianto? L'ho sentito trattenere i singhiozzi ogni notte da quando l'hai trattato come un traditore."

Traditore, che parola orribile, soprattutto se affiancata a quel ragazzo che io avevo scoperto di amare. Come era possibile che ad essere così crudele e ingiusto con Shoto fossi stato proprio io che avrei dovuto proteggerlo da ogni pregiudizio di questo schifo di mondo?

Kirishima mi afferrò il cuore con quelle parole, lo chiuse in una presa fin troppo salda e lo stritolò fino a farlo sanguinare. Avrei voluto chiedergli di smetterla, di non aprirmi più gli occhi, di lasciarmi nell'oblio, nella mia cieca convinzione di non aver fatto soffrire Shoto, ma di esser stato io quello che aveva sofferto maggiormente.

"Dove è ora?" chiesi a denti stretti. Avevo promesso che non lo avrei mai ferito e invece lo avevo fatto e nel peggiore dei modi e non potevo perdonare me stesso per ciò che avevo fatto.

"Non credo che meriti una risposta" mi chiuse la porta in faccia, si era schierato dalla parte di Shoto e come biasimarlo? Era il suo coinquilino, aveva assistito in prima fila alla sofferenza del bicolore. Così come Denki aveva assistito alla mia e aveva deciso di aiutarmi a modo suo.

Mi guardai intorno e elencai mentalmente i posti che Shoto preferiva: la biblioteca, ma a quell'ora era troppo affollata, lui preferiva recarcisi sul tardi, quando si svuotava e poteva occupare una delle poltrone sotto le grandi finestre, rannicchiarsi e leggere in santa pace; la palestra, ci andava solo se ci andavo anche io perché, a detta sua, sono sexy quando faccio le trazioni; la mensa, improbabile perché non era un goloso, ci andava quando sapeva che come frutta c'erano i mandarini, faceva sempre incetta di quei piccoli agrumi, li mangiava in continuazione e, poi, con le bucce si divertiva a spruzzare il liquido contenuto al loro interno sulle fiammelle delle candele per vederlo bruciare e fare le scintille; l'unico posto che rimaneva disponibile era quello che gli avevo mostrato io tempo prima, ce lo avevo portato in un pomeriggio di poche settimane prima quando avevo discusso con uno studente più grande che aveva occupato il posto accanto a me nonostante gli avessi detto che era occupato, quando poi era arrivato Shoto e aveva trovato la propria sedia occupata, mi aveva guardato con un sopracciglio alzato e io l'avevo trascinato lontano da lì perché altrimenti avrei preso per il collo quel bastardo che si era seduto al posto suo.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora