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"Kirishima mi ha scritto che arrivano con una decina di minuti di ritardo" sbuffai nonostante sapessi già da prima che il rosso e Denki non sarebbero mai arrivati in orario. Avevamo deciso di andare al mare tutti e quattro insieme, a patto di non chiamarla uscita di coppia, non ero a mio agio nel farmi definire una coppia con Shoto, non ancora almeno. Finché si riferivano a lui come il mio ragazzo andava tutto bene, non mi infastidiva, ma quando poi volevano farci diventare un tutt'uno con il termine coppia allora iniziavo a sudare freddo e a sentire una responsabilità nei confronti del bicolore che ancora non ero abituato ad avere.

Avevamo deciso di proseguire a piccoli passi, certo avevamo iniziato con il botto, ma era stato un caso. La passione del momento, il fatto che avesse corso sotto la pioggia solo per venire a dirmi che anche io ero imperfetto, il suo sguardo stralunato, le ciocche bagnate che gli aderivano al collo, insomma, anche volendo non avrei resistito, ma dopo quel momento di pura follia, avevamo deciso di rallentare, di non correre e affrettare i tempi. Preferivamo seguire delle tappe ben precise. Intanto, io avevo conosciuto la sua famiglia, almeno la parte che più mi interessava, lui, invece, era venuto a cena da noi, non era stato troppo imbarazzante, aveva già avuto l'onore di conoscere l'ostacolo più grande all'interno della mia ristretta famiglia: mia madre! Lei sì che sapeva come mettermi in imbarazzo, ma Shoto già l'aveva incontrata in ospedale e, comunque, nei suoi confronti mia madre aveva ancora un comportamento un po' da infermiera. Ora, la tappa che ci eravamo prefissati, era di uscire insieme a un'altra coppia, sia per studiarne le dinamiche sia per vedere se riuscivamo a mantenere il passo con altri ragazzi impegnati in una relazione.

Parcheggiai al primo posto libero, purtroppo il parcheggio era già affollato e dubitavo che i nostri amici avrebbero trovato facilmente un posto dove lasciare l'auto. Mi girai verso Shoto, sembrava impossibile per me non guardarlo se si trovava nella mia stessa stanza o, come in quel caso, al mio fianco. I miei occhi lo cercavano sempre, come se si scaricassero durante la giornata e avessero bisogno di ritrovare energia all'interno delle sue iridi spaiate. Il sole lo colpiva sul viso, ma si ostinava a non voler portare gli occhiali da sole. Aveva le guance arrossate per il caldo e in testa portava un cappellino di paglia che gli aveva prestato Kaminari qualche giorno prima e che ancora non gli aveva restituito. "Denki ha detto che mi dona" mi aveva risposto quella mattina quando gli avevo chiesto per quale motivo se lo stesse portando al mare. Denki non aveva avuto tutti i torti, quel cappellino di paglia gli dava un'aria un pochino più spaesata e da campagnolo e trovavo che, effettivamente, gli attribuisse una storia che in realtà non gli apparteneva e mi piaceva l'idea di confondere i passanti sul suo passato. Diedi una schicchera alla tesa del cappello per farlo sollevare un po' e per vederlo bene negli occhi.

"Tieni, indossa questi" gli porsi i miei occhiali da sole che tenevo sulla testa in modo che non li dimenticassi da qualche parte, come un tavolino del bar o nel cruscotto della macchina. Era capitato più volte di venir inseguito da qualche cameriere che urlava disperatamente che avevo lasciato gli occhiali al bar. Odiavo più il fatto che mi chiamassero signore piuttosto che il fatto di aver dimenticato gli occhiali sul tavolino.

"Perché?" non li prese, li osservò dalla mia mano direttamente, come se fosse pericoloso prenderli.

"Hai gli occhi più chiari dei miei, il sole ti dà più fastidio" spiegai, era una cosa che avevo imparato passando del tempo con Denki. Lui indossava sempre degli occhiali da sole, anche quando secondo me non ce n'era bisogno. All'ennesima volta in cui gli avevo domandato come mai, mi aveva risposto come se avesse a che fare con un idiota. "Io ho gli occhi molto più chiari dei tuoi, è ovvio che abbia bisogno degli occhiali da sole anche quando a te non dà fastidio la luce" fu la sua risposta alla quale non avevo potuto ribattere. Non indagai più di tanto, mi confermò mia madre che era vero e che le persone con iridi chiare dovevano proteggersi maggiormente dalla luce diretta del sole.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora