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Tornare alla vita di tutti i giorni, dopo il ricovero di Shoto, assomigliava tanto a un déjà-vu. Ormai non avevo il coraggio di allontanarmi da lui, non per la paura di vederlo sparire, ma perché lui stesso era diventato parte di me, una parte fondamentale senza la quale non avrei saputo che fare.

Se vi dovessero chiedere di rinunciare a una parte del cuore, voi rispondereste che sarebbe doloroso e che potreste perdere solo gli arti o gli organi di cui se ne hanno due, ma se vi chiedessero di rinunciare al cuore, cosa rispondereste? Lui era cuore, a lui non avrei rinunciato. Quando per tirare avanti mi ero aggrappato con i denti e le unghie a quei bip, era stato come se mi stessi aggrappando al mio stesso cuore, quel suono coincideva, in modo quasi inquietante, al battito del mio muscolo cardiaco. Avevo la certezza che entrambi gli organi fossero sulla stessa frequenza.

Lo guardai di nascosto, lui sonnecchiava con la testa poggiata sulla mia pancia, io leggevo tenendo il libro con una mano, mentre con l'altra giocavo con i suoi capelli sempre più scompigliati. Quando fosse giunto il momento di spazzolarli, io mi sarei dileguato perché ero sicuro mi avrebbe accusato dei nodi che tiravano e dolevano a livello di cute.

Mi passavo tra i polpastrelli ciocche del colore della neve, mi divertivo a mischiarle con quelle cremisi, me le giravo intorno alla punta delle dita e le osservavo mentre scompostamente cercavano di tornare lisce.

Sentii in lontananza un tuono e mi voltai verso la finestra, appena in tempo per vedere il cielo buio diventare luminoso per una frazione di secondo, la luce annunciava un secondo tuono imminente e io attendevo che il boato riempisse la stanza e facesse vibrare il vetro. Rimasi con lo sguardo verso l'esterno, una mano a fingere di districare i nodi appena formati tra i capelli di Shoto e la mente a ripercorrere tutti gli eventi che mi avevano portato fin lì.

La pioggia.

Quell'acqua che cadeva dal cielo e bagnava tutti noi comuni mortali rappresentava senz'altro il punto di svolta della mia vita, come Alice che attraversa lo specchio per ritrovarsi nel Paese delle meraviglie o Achille che accoglie Patroclo nel suo giaciglio nella caverna di Chirone.

Una notte piovosa era diventata la seconda stella a destra che mi aveva portato all'isola che non c'è e l'isola che non c'è era senza ombra di dubbio la mia vita al fianco di Shoto. Ero Wendy e Shoto era Peter Pan, colui che mi invitava a rimanere per sempre bambino.

Pioveva anche quella sera e, come era accaduto già altre volte, fui colto dalla voglia di farmi bagnare da quell'acqua. Scossi piano il bicolore, che dal suo leggero riposo era passato decisamente a un sonno profondo, e lo destai.

"Piove" sussurrai, avvicinando la bocca al suo orecchio e lui, come se avesse udito la parola magica, si mise seduto di scatto e mi guardò con degli occhi luminosi, al pari di quelli di un bambino di fronte a un negozio di dolciumi. Piove sembrò ripetere con lo sguardo.

Ci alzammo, non c'era bisogno che uno dei due dicesse all'altro quale fosse il nostro obiettivo, ci cercammo con le mani e corremmo in strada.

L'acqua cadeva a secchiate, ci inzuppava i vestiti e ci levigava il viso. Leniva il dolore del volto di Shoto perché potevo notare la sua espressione rilassarsi sotto l'ombra degli ultimi lividi.

E realizzai.

Realizzai che avrebbero potuto non esserci più corse sotto la pioggia, che avrei potuto dover ricominciare a leggere completamente da solo, che avrei potuto ritrovarmi al freddo senza nessuno accanto a scaldarmi durante la notte, che avrei potuto non avere più dei difetti da elencare.

Realizzai che avrei potuto dover partecipare al funerale della persona che amavo.

Ed esplosi.

"PERCHÉ HAI FATTO UNA COSA DEL GENERE?" urlai con la gola che bruciava e le lacrime, che avevano cominciato a scendere insieme alla consapevolezza di cosa avevo quasi perso, si mischiavano alla pioggia. La pioggia mi faceva compagnia e sembrava intensificare il pianto sul mio volto. Shoto, guardandomi, non avrebbe potuto dire se mi stessi disperando o se, sulle mie guance, di lacrime vere ce ne fossero giusto un paio e il resto non fosse altro che acqua piovana.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora