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Incontrai mia madre nel corridoio di terapia intensiva, mi ero intrufolato di nascosto, ormai era diventata un'abitudine quella di eludere le regole dell'ospedale, e lei non aveva avuto il coraggio di mandarmi via. Mi guardò con tristezza, mi accarezzò la guancia come se stesse contando quante lacrime erano scese in quell'ora in cui mi aveva lasciato da solo. Scossi la testa, non volevo vedere quello sguardo sul suo volto, non volevo nemmeno ascoltare cosa avesse da dirmi. Avevo bisogno solo di due parole, "Sta bene", nient'altro. Ma quelle parole, come avrei dovuto immaginare, non arrivarono mai.

"Katsuki, ascol..."

"Mamma, non dirlo" la pregai con la voce incrinata e gli occhi colmi di nuovo di lacrime. Eppure, credevo di averle finite, pensavo di averle versate tutte quando mi ero ritrovato seduto nel corridoio del pronto soccorso. Le guance, ancora una volta bagnate, perdevano il loro colorito per lasciare spazio al bianco pallido.

"Forse è arrivato il momento di dirlo a Shinso, purtroppo non vuole farsi aiutare in alcun modo"

Mossi un passo indietro, mi allontanai in modo che la mano di mia madre non si bagnasse più con le mie lacrime, guardai convulsamente tutte le porte e poi individuai quella attraverso cui più medici e infermieri passavano. Lì doveva trovarsi Shoto. Corsi, evitai la mano di mia madre che provò ad afferrarmi per impedirmi di fare sciocchezze e mi fiondai in quella stanza. In un primo momento non vidi nulla, passare dalla luce intensa del corridoio a quella fioca della stanza mi aveva oscurato completamente la vista.

Shoto era sdraiato sotto il lenzuolo bianco dell'ospedale, quel dannato bianco che detestavo e che avrei continuato a detestare fino all'età adulta al punto che le pareti della mia casa non avrebbero mai assunto alcuna sfumatura di bianco. L'unico bianco che potevo accettare era quello dei capelli del lato destro di quel ragazzo, quel bianco non mi infastidiva, sembrava avere delle sfumature più simili a quelle della neve e non mi ricordava affatto le pareti dell'ospedale.

Shoto respirava piano, il petto si alzava e abbassava a rallentatore, il cuore batteva, lo percepivo dal suono ritmico che emetteva il monitor alla mia destra e le sue mani, non più rovinate come quando viveva in ospedale, erano adagiate delicatamente lungo i fianchi. Probabilmente, se fosse rimasto più a lungo in quel luogo, avrebbe anche ricominciato a mangiarsi le pellicine e a farsi uscire il sangue che, inevitabilmente, gli avrebbe macchiato le dita. Mi avvicinai al letto, non mi curai degli sguardi sconvolti o della mano enorme che mi afferrò la spalla e che io cacciai scrollandomela di dosso. Mi era bastato sentire il peso sulla spalla e realizzare che chiunque fosse stava cercando di tenermi lontano dal bicolore, per perdere le staffe e reagire come se a toccarmi fosse stato un viscido e ripugnante tentacolo da cui non mi sarei mai fatto sfiorare. Arrivai al bordo del materasso e mi piegai su quel corpo stanco e sofferente.

"Stronzo della macchinetta, vedi di combattere" sussurrai. Sperai davvero che nessuno mi sentisse, non perché avevo appena insultato un paziente in punto di morte, ma perché stavo per dire cose di cui più avanti mi sarei vergognato, ringraziando il fatto che però Shoto non le avrebbe ricordate.

"Volevi sapere perché ero venuto in ospedale quella notte? Vuoi sapere perché ogni sera scendo nella sala comune per giocare a carte? Perché non volevo che stessi con Shinso? Vuoi saperlo, non è vero?" mi guardai dietro le spalle, tutti mi osservavano, ma nessuno osava avvicinarsi. Mi sentivano benissimo perché trattenevano addirittura il respiro. In quel posto ero conosciuto come il figlio scorbutico dell'infermiera Bakugou, ma stavo per mettere a nudo i miei sentimenti e loro avrebbero cambiato idea in poco più di una manciata di secondi.

"Allora svegliati, svegliati perché col cazzo che parlo con un fantoccio in fin di vita" sbattei la mano sul materasso accanto al suo viso e, incomprensibilmente, lui sfessurò un occhio, quello azzurro, e mi guardò.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora