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Il sole mi svegliò e in un primo momento pensai a che sogno impressionante avessi fatto quella notte. Mi stropicciai l'occhio e mi lamentai mentalmente per il braccio addormentato che mi doleva. Non avevo più la sensibilità a livello del bicipite e formicolava come se nelle vene stessero prendendo forma delle piccolissime esplosioni. Riuscivo a seguire ad occhi chiusi il percorso dei vasi che si stavano di nuovo ingorgando di sangue, si diramavano fino alla mano e oltre la spalla. Sospirai e finalmente aprii gli occhi, anche se il primo pensiero era stato quello di rimettermi a dormire nella speranza di riprendere il sogno interrotto. I raggi mattutini mi accecarono e per un attimo pensai di avere una visione, poi, dopo aver messo a fuoco quel che mi circondava, mi resi conto che ciò che mi stava facendo ancora battere il cuore a ritmo troppo veloce non era stato affatto un sogno. Avevo fatto bene a non tornare a dormire!

Il viso di Shoto era a pochi millimetri dal mio, era poggiato con la guancia sul mio bicipite, motivo per cui avevo perso sensibilità a quel muscolo, respirava piano, con piccoli sbuffi che si liberavano dalle sue labbra fini e rosee, e i suoi respiri spostavano le mie ciocche chiare. Era così vicino che di primo impulso avrei voluto congiungere la punta del mio naso con la punta del suo. Mi chiesi anche se, durante la notte passata così a stretto contatto con lui, quel tocco leggero tra i nasi ci fosse effettivamente stato. Avrei voluto non essermi addormentato, perché mi sarebbe piaciuto vedere le dinamiche che avevano portato quel ragazzo a usare il mio braccio come cuscino.

Trattenni l'aria nei polmoni per paura di svegliarlo e rimasi a guardarlo mentre dormiva serenamente. L'ultima volta che lo avevo visto in quel modo era stato appena dopo la donazione del midollo e lui si era svegliato affermando di non essere degno di un dono come quello che gli avevo fatto. Ora era esattamente ciò che pensavo nel guardarlo: non ero degno di averlo accanto, era troppo eccezionale per essere reale e, soprattutto, per volere me.

Deglutii sempre cercando di fare meno rumore possibile e mi concentrai sulle sue palpebre che celavano i miei colori preferiti al mondo. Vedevo i suoi occhi muoversi sotto quel sottile strato di pelle, mi chiesi cosa stesse sognando, se anche lui, una volta sveglio, avrebbe pensato che la notte prima fosse stata tutto un sogno e se si sarebbe pentito una volta tornato lucido. Io, dal canto mio, non mi sarei potuto ritenere più fortunato. Pentirmi? Come avrei potuto pentirmi della cosa più sconvolgente ed emozionante che mi fosse mai capita.

Gli sfiorai con l'indice la curva del naso e pensai a come si sarebbe arricciato quando i suoi occhi, ancora impastati di sonno, avrebbero scorto i miei vispi e scarlatti. Ero emozionato all'idea di essere il primo di quel giorno a potermi specchiare nelle sue iridi e speravo con tutto me stesso di diventare il primo anche il resto dei giorni che mi rimanevano da vivere. Cominciai a chiedermi se avrei avuto l'onore di esser il primo a notare le piccole rughe ai lati del suo sguardo, o le prime ciglia bianche della vecchiaia. Cominciai ad andare avanti veloce con la fantasia, ma poi tornai alla realtà e mi resi conto che non contava né il passato né il futuro, solo il presente era importante. Solo quel preciso istante in cui lui dormiva tra le mie braccia e io rallentavo il respiro per non svegliarlo. Sorrisi, avrei voluto che il tempo si fermasse, che mi lasciasse la possibilità di contemplare quel corpo, quel viso, per dei minuti lunghi un'infinità.

Mosse l'angolo della bocca e mi venne voglia di fermarlo dal sorridere nel sonno con un bacio, ma di nuovo rimasi immobile per evitare di svegliarlo. Avevo paura che, una volta tornato alla realtà, si sarebbe reso conto dell'errore commesso e che sarebbe corso di nuovo da Shinso.

Percepii una contrazione a livello dello stomaco e la bile pronta a risalire accompagnata da un conato; non avevo pensato affatto a come avrebbe reagito Shinso, a quanto mi avrebbe odiato, forse addirittura picchiato, e io l'avrei lasciato fare perché il torto che gli avevo fatto era forse la cosa peggiore che avesse mai subito in vita sua e lui non aveva avuto nemmeno una vita tutta rose e fiori.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora