La strada verso l'ospedale era completamente libera, sembrava quasi che la città si fosse svuotata, che tutte le persone residenti lì avessero deciso di andare via per le vacanze di Pasqua e a me andava più che bene. Era un piacere guidare senza doversi fermare in fila ogni due minuti. Anche il parcheggio dell'ospedale era abbastanza vuoto, assurdo come, casualmente, la gente si sentisse meglio durante le vacanze. Spesso mia madre se ne usciva con frasi del tipo: le vacanze rendono meno paranoiche le persone e permettono anche a noi infermiere di riprendere fiato.
Entrai in ospedale senza nemmeno alzare lo sguardo, mi diressi verso le scale, evitai l'ascensore perché volevo muovere i muscoli, farli un po' faticare, sentirli indolenzirsi, e arrivai al piano dove risiedevano i pazienti di cui si occupava mia madre. Avevo un po' il fiato corto perché comunque ero salito per diverse rampe di scale, ma quella sensazione in qualche modo mi faceva sentire più vivo di quanto non mi fossi sentito in quell'ultimo periodo. Incrociai il medico che aveva un debole per mia madre, non potevo sapere che di lì a poco, quella sua cotta, mi avrebbe permesso di eludere le regole dell'ospedale per un mio tornaconto, e proseguii diretto al bancone delle infermiere, quello stesso bancone su cui da piccolo mia madre mi sedeva per riallacciarmi le scarpe che puntualmente si scioglievano quando correvo per i corridoi scappando dall'inserviente che avrebbe dovuto badare a me mentre mia madre si cambiava prima di tornare a casa.
"Katsuki" sentii la voce di mia madre e, senza nemmeno rendermene conto, mi si inumidirono gli occhi, fu una reazione istantanea e involontaria. Mi era mancata da morire, mi erano mancati i suoi abbracci soprattutto quando mi ero ritrovato solo nel letto. Mi era mancata la sua voce, le sue parole dolci come carezze. Mi era mancata come l'aria e non me ne ero accorto fino a quel momento.
Mi girai e fui io quello a correre verso di lei e a stringerla in un abbraccio. La colsi di sorpresa, non si aspettava una mia reazione così esagerata, di solito doveva pregarmi per darle un bacio sulla guancia o per abbracciarla, invece in quel momento mi trovavo attaccato a lei e non volevo lasciarla andare. Non mi importava del green che indossava che presumibilmente era macchiato con qualche fluido di appartenenza umana, non mi dava nemmeno fastidio il tipico odore di ammoniaca, anzi, in quell'occasione quasi mi fece piacere sentirmi investire le narici da quell'odore pungente, come se mi avessero risvegliato dopo esser svenuto con una di quelle fialette apposite.
"Va tutto bene, tesoro?"
Avrei voluto dirle la verità, che andava tutto una merda, che volevo tornare a casa e sparire dal mondo. Avrei voluto piangere sulla sua spalla e farmi consolare come un bambino che è caduto dallo scivolo. Avrei voluto dirle che avevo perso uno dei miei più cari amici e che non sapevo nemmeno il motivo. Avrei voluto liberarmi di quel dolore che mi lacerava il petto, ma decisi di non preoccuparla, così mi staccai da lei, la guardai negli occhi, sorrisi e annuii.
Quante volte lei si era tenuta del dolore dentro al petto per evitare che fossi io a preoccuparmi? Quante volte, quando ero stato solo un bambino, mi aveva guardato dicendomi che andava tutto bene quando invece sentiva il mondo crollarle sotto i piedi? Era arrivato il mio turno per ripagarla di quelle premure. Ci stavamo scambiando i ruoli e questo mi faceva sentire un pochino più adulto.
Rimasi da lei per qualche minuto, forse una mezz'ora. Parlammo dell'università, mi inventai una scusa per il fatto di non esser partito con gli altri come facevo tutti gli anni e poi trovai il coraggio e la lasciai. Mi incamminai verso le scale, volevo far muovere di nuovo i muscoli, volevo stancarmi tanto da riuscire ad arrivare a casa stremato, così da non dover pensare a nulla e addormentarmi istantaneamente.
Cominciai a scendere i primi gradini e sentii di nuovo il peso tornare sulle spalle. Un peso invisibile a chiunque, ma che io percepivo come un macigno. Quel macigno premeva sulle mie spalle, come se pesasse quintali e la forza di gravità fosse aumentata. Me lo portavo dietro e non si alleggeriva a meno che non fossi con qualcuno che si prendeva quel peso al posto mio, proprio come era accaduto con mia madre con quell'abbraccio riparatore. Ogni scalino rappresentava dei centimetri in più di lontananza da lei e a ogni scalino quel peso aumentava per tornare alla sua originale mole.
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L'imperfezione della necessità
FanfictionQuando odi una persona le auguri i peggiori mali al mondo, ma, quando scopri che nasconde un segreto e che il male vive accanto a lui, tutte le tue certezze crollano e vorresti solo esser rimasto all'oscuro di quel pesante segreto. Una enemies to l...