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L'aria della notte avrebbe dovuto risvegliarlo, aiutarlo con la sbornia, ma invece, appena mi vide, mi mise un braccio sulle spalle e lasciò che tutto il suo peso ricadesse su di me. Riuscii a sorreggerlo solo perché era eccessivamente magro, ancora doveva riprendersi dagli strascichi che gli aveva lasciato la malattia. Vedevo giorno per giorno i miglioramenti sul suo volto e del suo corpo da quando aveva ricevuto il mio midollo, mi rasserenava notare un colorito un po' più scuro sulle guance e sentire un po' meno le ossa sporgenti quando lo stringevo. Erano piccoli segnali che il suo organismo si stava riprendendo.

Ci incamminammo verso casa di suo fratello, nemmeno gli chiesi se volesse andare a casa mia per evitare di disturbare Touya e Natsuo che probabilmente dormivano, sapevo che avrebbe insistito per tornare comunque da loro, quindi decisi di non dare vita a una discussione inutile e di condurlo direttamente dai suoi fratelli, forse aveva bisogno più di loro che di me in quel momento, dovevo accettare il fatto che in alcune situazioni lui preferisse il calore famigliare di Touya e Natsuo piuttosto che il mio. Quello tra fratelli era un legame che io non potevo conoscere, ma che stando al fianco di Shoto avevo imparato a comprendere.

Camminava guardando i suoi stessi piedi che si muovevano, come se non fosse lui a guidarli, sembrava occupato in un conflitto interiore, come se nella sua testa ci fosse una voce con cui stava conversando o addirittura discutendo. Avrei voluto poter partecipare a qualsiasi cosa stesse accadendo nella mente del bicolore. Io, nel frattempo, guardavo il suo viso leggermente arrossato dall'alcool. Aveva gli occhi lucidi, talmente tanto che temevo che potesse cadere qualche lacrima, il naso si arricciava ogni volta che dovevamo scansarci per qualche passante o qualche palo della luce che ci ostacolava il cammino e gli incisivi martoriavano il povero labbro inferiore con piccoli morsi insistenti. Avrei voluto passare il pollice sulla sua bocca, fargli notare quanto si stesse ferendo con quel vizio di mordersi, premendo con forza i denti nella sua stessa carne. Ma non lo feci, lasciai che si sfogasse in quel modo, sapevo quando era il caso di lasciarlo in pace e non intervenire, come quando si ripresentava il suo tic di sfregare le nocche sui pantaloni fino ad arrossarle e sbucciarle. Era un tic che aveva iniziato a mostrare, a quanto mi aveva raccontato, da quando la madre era stata ricoverata in psichiatria. 

"Perché ti sei ridotto così? Perché hai bevuto così tanto?" chiesi rimettendolo saldo contro il mio fianco, la sua leggerezza mi permetteva di muoverlo come fosse un pupazzo di pezza. Non alzò il viso, continuò a guardare l'asfalto che scorreva sotto di noi, come se lì potesse trovare la risposta alla mia domanda.

"Per dimenticare?" non fu una vera e propria risposta, fu più un interrogativo al quale nemmeno lui sapeva come rispondere. Sospirai e abbassai anche io lo sguardo. Aveva molti eventi della propria vita da voler dimenticare, ne ero conscio, anche io, se avessi vissuto anche solo la metà della sua infanzia, avrei provato ad affogare il passato nella tequila, ma sapevo anche che quella non era la soluzione migliore, di certo non era la più sana.

"L'alcool non ti fa dimenticare la vita di merda che hai avuto, ma solo la serata che stai vivendo in quel momento" era crudele schiaffargli in faccia la dura verità in quel modo? Forse, ma non volevo che si riducesse a uno straccio per colpa del padre che aveva avuto e della malattia che aveva combattuto e che ancora combatteva silenziosamente.

"Lo so, ma aiuta a lenire il dolore" era consapevole anche senza che io gli ricordassi come funzionava l'alcool.

"Stai soffrendo?" mi rattristava l'idea che avesse ancora del dolore da dover lenire nonostante stesse con me, nonostante lo amassi e lo rispettassi. Avrei voluto essere io stesso la sua droga per sfuggire dalla realtà, avrei voluto poter far sparire tutta la sofferenza che lo affliggeva di giorno e di notte. Avrei voluto essere la ragione del suo sorriso, ma forse era ancora troppo presto per chiedere di diventare il motivo per cui voler continuare a vivere.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora