Capitolo 14

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Fisso maggie muoversi con ansia sulla sedia della sala d'aspetto.
Sono qua dentro da nemmeno trenta minuti e vorrei già uscire e fumare una sigaretta.
Siamo nello studio di quello strizza cervelli che la mia migliore amica elogia tanto.

Io non riesco a pensare a altro se non al fatto che vorrei scappare.
Perché è sempre stata l'unica cosa che mi veniva bene.
Ma sono qua per lei, ha bisogno di me e io devo rimanere qua.
Quando il dottor kros esce dallo studio ci sorride in modo professionale e cordiale.
Ma io lo guardo male e quando lui si accorge di me mi guarda sorpreso.
Mi passo una mano fra i capelli e rimango seduto.

Allungo le gambe e mi comporto come lo stronzo e lo spavaldo che sono.
"Andrew, ciao" non rispondo a quel che una volta era il mio psicologo.
Lo guardo male e con tutto il disprezzo che provo nei suoi confronti.
"Sei tornato? riprendi la terapia?" "non ci speri sto solo accompagnando mag" poi mi volto verso di lei.
Le indico lo studio e lei sorride, mi ringrazia con lo sguardo per averla accompagnata.

Ritorno su quella sedia di plastica a aspettare che la mia migliore amica si muova a fare questa cosa e esca al più presto da quello studio.

Questo posto fa più schifo di Londra stessa.
Le pareti monotone di colore bianco così come qualsiasi cosa dell'ambiente circostante.
Le pareti sono arricchite solo da stupidi poster pubblicitari sulla mente umana.
Il tavolino davanti ai miei piedi ricoperto da riviste inutili che realmente nessuno guarda.
Perché si aspettano che un paziente nell'attesa possa leggere riviste di gossip o sui motori? se uno viene qua è perché ha la mente incasinata e non ha dicerto voglia di leggere queste stupide riviste.

Sbuffo e afferro il mio quaderno dalla copertina nera dalla tasca posteriore dei miei jeans.
Lo apro e schiaccio la punta della penna per poter disegnare.
L'inchiostro macchia il foglio così come le mie ombre hanno macchiato me.
Non è giusto dirlo.
Lui aveva le sue ombre.
Lo hanno divorato dentro e lui si è lasciato logorare dal dolore piano piano facendo si che il dolore che lui stesso provava lo trasformasse nel mostro che è ora.
È una sorta di merda che circola.
Lui aveva le sue ombre perché qualcuno gliele ha trasmesse rendendolo così.
Lui non è riuscito a mantenere quel briciolo di lucidità che lo rendeva sé stesso.
Non lo giustificheró perché lo odio con tutto me stesso.
E nonostante odio quando la gente mi giudica io giudicheró lui.
Mi sento un bambino viziato e arrogante e probabilmente lo sono, sono un bastardo impertinente e menefreghista che prova troppo dolore e che se ne frega se gli altri provano lo stesso dolore che provo io.

Me ne fregheró di lui perché lui s'è n'è fregato di me trasmettendomi le sue ombre.

Disegno sul foglio quello che provo ora.
Disegno ogni paranoia che le ombre mi hanno causato, ogni forma di me che prova rabbia.
Disgusto.

Lui ha trasmesso le sue ombre su di me rendendole col tempo mie.

Lui è stato un bastardo e magari in quel momento erano le sue ombre a renderlo così, ma non toglie nulla.
Non riuscirei a perdonarlo nemmeno se lui riuscisse a uscire dal vortice e si rendesse conto di quello che aveva fatto.
Della violenza che ha usato per anni contro un bambino che prima di lui si, aveva problemi ma futili.
Potevo superare la rottura dei miei genitori, lo potevo fare.
Potevo superare l'idea di un padre assente che ha abbandonato i propri figli, forse sarebbe stato complicato ma me ne sarei fatto una ragione.

Prima di lui i miei problemi sarei riuscito a superarli.
Ma quel bastardo non ha mai accettato che qualcuno potesse non provare dolore, non ha mai accettato nulla e ha sempre voluto trasmettere agli altri il dolore che lui stesso provava.

E mi ha insegnato questo, a essere un bastardo che se ne frega dei sentimenti altrui.

Perché cazzo è successo a me?

Le stelle nei suoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora