Capitolo 28

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"Non hai chiamato che cosa sta succedendo?" "am non ti ha detto nulla?" "non vedo am da ore ero a lezione" "fattelo dire da lei non ho voglia di ripeterlo" "ti senti bene?" "si" "ehi drew, che cosa succede?" "niente ragazzina" "drew sono io, puoi parlare con me" "ho solo bisogno di assimilare l'ennesima cazzata di mia madre" "che cosa?" "niente ragazzina" "mi dici che-" "sono fatto e non ci sto capendo un cazzo ti prego ho solo bisogno di non pensare" "vengo lì drew" "no, no, tu hai già da fare con l'università sto bene sul serio-" "non dire cose che sai non sono vere, non mentire" "non ti mento" "si invece, dove sei?" "da nessuna parte" la sento sbuffare.

Mi passo una mano fra i capelli, da fatto non so proprio gestire le mie emozioni.
Forse è per questo che mi sono fumato una canna perché se dovessi gestirle sarebbe sicuramente peggio.

"Davvero cazzo sto bene ok?" "ci vediamo tra qualche ora" riattacca.

Ma che cazzo.

"Drew" mi volto verso Kat.
"Mh" "è tardi ed è meglio se vai a dormire" "si adesso mi levo dai coglioni" mi alzo e mi passo una mano fra i capelli.
"Aspetta stai qua, dormi di là ok?" "fanculo no me ne vado a casa" "andrew quella che consideri una casa al momento è uno schifo" "è l'unica che ho vai a farti fottere" "oddio non ti fanno per niente bene le canne" "sono perfettamente lucido" sbuffa.
"E comunque non me ne vado, ho promesso a Amanda che sarei rimasto"
"fai come ti pare, io ho finito il turno, ci vediamo" risponde e se ne va.
Fanuculo.
Chiudo gli occhi e nonostante il fatto che queste sedie di merda siano scomodissime riesco a addormentarmi.

"Andrew" socchiudo gli occhi e mi guardo intorno.
Quando mi ricordo di essere in ospedale e di essermi addormentato mi passo un amano fra i capelli e sospiro.
La mia attenzione però viene catturata da una mano sulla mia spalla.
Se non l'avessi riconosciuta probabilmente mi sarei spostato.

"Mic?" alzo lo sguardo.
"ei, come stai? am mi ha raccontato tutto, sei rimasto qua?" annuisco "che ore sono?" "Le cinque di mattina, hai fame?" scuoto la testa.

Mi guarda con quei suoi occhi, a tratti fanno più male loro che la vita in sé.
Ma poi ricordo che sono i suoi occhi e che non mi farebbe mai del male.
Non lei.

"Vieni qua" apre le braccia e aspetta che mi ci butti a capofitto.
Amo il contatto fisico con lei, e probabilmente è perché il mio stomaco non si ritorce al solo pensiero di essere fra le sue braccia.
E perché il petto non mi fa male e la mano non mi trema.

Non se sto con lei.

Infilo il viso nell'incavo del suo collo mentre lei mi accarezza.

"Sai di lamponi" "tu di sigaretta,quanto hai fumato?" "un po'" la sento sospirare mentre io voglio solo che almeno lei non mi odi.
Che almeno lei possa capirmi.

"Dove l'hai trovata l'erba?" "Am mi odia, mi sono fumato una canna mentre mia madre era in overdose" rispondo, lei abbassa lo sguardo e io lo alzo sui suoi occhi.
"Non è vero drew, non ti odia affatto, ha capito perché hai fatto quello che hai fatto è solo triste per te" "triste per me?" "si, lo sono anche io" "non essere triste ragazzina" "lui è qua?" rabbrividisco.
Lei lo nota e mi prende il viso fra le mani.
Per un secondo ho dimenticato di essere nel suo stesso ospedale a pochi metri da lui.
Ma solo per un secondo.

Ed ho subito un dejavu.
Io ricoverato qua dentro, depresso e con un proiettile in corpo.
Che non la smettevo di fissare il vuoto con la speranza che lei fosse ancora viva anche quando sapevo che non era così.
Perché era morta fra le mie braccia.

"È tutto ok drew" scuoto la testa "ho bisogno di fumare" lei annuisce.
"Usciamo da qua" la prendo per la vita e cammino velocemente perché il solo il pensiero di stare difianco alla sua stanza mi fa venire da vomitare.

Le stelle nei suoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora