Capitolo 28

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Alberto e Dario si abbracciarono a guscio sopra Lamantia. Il boss era ferito e proteggerlo era vitale per la riuscita del piano. "Perché l'ha fatto?" pensò con rabbia il ragazzo, "Non ero in pericolo! Ho sconfitto nemici più pericolosi di loro, in passato! Perché tutte queste vittime?" e sentì l'uniforme bagnarsi di sangue.

Alle loro spalle, un centinaio di carcerati e diverse decine di guardie si stavano massacrando in preda al panico più totale. Tutti loro avevano udito la Verità e adesso bramavano la morte.

Ogni qualvolta le vibrazioni del suolo si facevano più intense, Dario si voltava per disintegrare un nemico in avvicinamento. Alberto non si voltò mai verso l'esterno. Gli occhi spenti di Marta erano stati impressi nella sua mente. Nel momento stesso in cui aveva visto la sua compagna soccombere alla Verità, Risonanza lo aveva liberato dalla morsa dei criminali e ricondotto da Lamantia. In quel frangente di tempo, il boss aveva incassato due colpi all'addome e non era più in condizione di combattere. Alberto preferì concentrarsi sullo sguardo agonizzante del suo capo, piuttosto che rischiare di intravedere Marta suicidarsi.

Lamantia fu risvegliato dalle lacrime del suo braccio destro – MI DISPIACE, ALBI! - gli urlò con tutta la voce che aveva in corpo.

Lui non rispose. Si limitò ad asciugarsi le lacrime e ad annuire.

Tese la mano al boss e lo aiutò ad alzarsi. Mentre i due si abbracciarono, Dario si allontanò da loro e si avviò verso l'ultimo gruppo di reclusi sopravvissuti. "È inutile salvarli, ormai l'hanno ascoltata" si disse e li disintegrò tutti e sette con un unico urlo.

Il loro sangue piovve sui suoi vestiti e quello più vecchio iniziò già ad incrostarglisi tra i capelli. Alberto lo raggiunse, aiutando il boss a reggersi in piedi. Indicò poi il suo orecchio, chiedendo se potessero rimuovere i tappi. Dario annuì, e i due criminali li gettarono via.

- Andiamo al varco, Vincenzina ci starà già aspettando – sospirò il boss.

Seguendo i gesti di Alberto, Dario afferrò Lamantia per l'altra spalla e i tre si avvicinarono al varco creato dal ragazzo. "Tutti questi morti" pensò "Soltanto perché io voglio vendicare i miei. Chissà quanti di loro avranno figli, chissà quanti di questi figli vorranno vendicarsi di me adesso."

Non appena usciti, Dario lasciò il boss e i due si avviarono verso una Violetta 1212, posteggiata a una decina di metri di distanza. Con uno sguardo deciso, Lamantia ricordò al ragazzo del loro prossimo incontro. Secondo il piano, infatti, Dario sarebbe dovuto fuggire con Lucia e Simone, per poi incontrarsi col boss alla sua base. Lì avrebbe ricevuto informazioni fondamentali su come sconfiggere Piezo e il Professore.

Le luci della polizia inondarono il fondo della strada. Almeno una decina di pattuglie si stava avvicinando al varco a tutta velocità. Tuttavia, soltanto una di esse si diresse effettivamente verso l'istituto, mentre le altre inseguirono i centinaia di criminali in fuga. Il piano stava funzionando, erano state distratte dal diversivo!

Con un urlo rivolto al suolo, Dario creò una piccola tempesta di polvere, che rallentò l'auto. Rientrò nell'istituto e denudò una delle guardie decedute durante lo scontro. La divisa era sporca di sangue, per cui la inondò con una frequenza in grado di far vibrare le fibre del tessuto. Si ricordò di avere anche i capelli sporchi di sangue e fece lo stesso con un cappellino. Una volta che gli indumenti si furono smacchiati, si travestì da agente in pochi secondi, facendo attenzione a non dimenticare i fogli di diario nella sua uniforme da recluso.

Non appena li ebbe messi in tasca, vide il primo degli agenti sporgersi dal varco. Rialzò allora la polvere e corse verso il cadavere di una psicologa. Rabbrividì vedendo il collo squartato della dottoressa Novena, ma cercò di non farsi prendere dall'emozione e le sfilò il camice.

Non aveva tempo di correre da un lato all'altro dell'istituto. Gli agenti avrebbero accerchiato l'edificio se avessero avuto la certezza che il potente Risonanza si fosse ancora trovato al suo interno. Strappò il camice alla base e legò i due lembi inferiori alle sue caviglie. Lo indossò, strinse forte tra le dita le estremità delle maniche e urlò verso il suolo. La mancanza di un supporto sulla nuca limitò di molto la potenza del grido, e il supereroe riuscì a sollevarsi soltanto di una manciata di metri.

Tra la polvere e i detriti, gli agenti non si accorsero della sua fuga aerea. Dario si guardò indietro e vide i loro volti inorriditi. Decine di uomini e donne con le gole sgozzate, guardie e carcerati smembrati dalle sue stesse onde, tutto a causa di Lucia. Strinse i denti pensando a tutte quelle vittime non necessarie, pensando al cadavere di Marta in mezzo a quella catasta umana.

"Questo è quello che succede a chi si fida di quel mostro!" disse una voce dentro di lui, ma "Le parlerò! Proverò a contenerla!" controbatté lui "Lei è necessaria e ormai non posso più tirarmi indietro"

Gridò un'altra volta al suolo per risollevarsi e intravide in lontananza i suoi compagni. Con un colpo secco della gamba sinistra, strappò ulteriormente il camice, accelerando la discesa. Atterrò quindi davanti al portone principale, si slacciò il camice e iniziò a correre verso Lucia e Simone.

I due ragazzi lo stavano aspettando davanti alla fermata del bus, a pochi metri dall'ingresso del carcere. Non appena li ebbe raggiunti, fu accolto dall'abbraccio di Lucia – Dario, ce l'abbiamo fatta!

Simone tradusse la frase all'eroe, che reagì con uno sguardo impassibile – Dario ha detto che ti deve parlare.

La ragazza fu intimorita dalla sua reazione. Sapeva che il grande Risonanza non avrebbe mai approvato la sua mossa, ma sentiva che quello che aveva fatto era giusto, quello che aveva fatto era stato necessario.

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