Capitolo 9

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Il silenzio iniziò ad opprimere quella stanza. Tutti erano fuggiti via, tranne Giona che tamburellava nervosamente le dita contro il tavolino. "Era il momento giusto, idiota! E adesso? Adesso dovrai aspettare la prossima volta?", sbuffò e diede un pugno al tavolo.

"Comunque è pericoloso restare: se dovessi udire quella frase, sarei costretto ad uccidermi... ah trovato!" e pur di attendere lì il ritorno di Ludmilla, connesse al telefono le sue cuffiette bluetooth e mise su una playlist glam rock.

Si soffermò a guardare il suo riflesso sullo schermo nero. I suoi pensieri si soffermarono sul suo occhio robotico, fonte di insicurezza ogni qualvolta si trovasse di fronte a Ludmilla. L'occhio robotico era il prezzo che aveva pagato per l'esplosione del Collisore e, dopo le ultime modifiche, era ormai indistinguibile da quello vero, se non per l'appariscente iride viola. La sua vera preoccupazione non era infatti se il suo aspetto fosse attraente o no, bensì il timore che qualcuno potesse scoprire la vera natura di quell'occhio. Il Professore viveva con la paura che qualcuno potesse scoprire che in realtà il Collisore di 2 miliardi di petali non era sparito in un'altra dimensione, e che tutto quell'incidente era stato programmato meticolosamente da Giona e il suo team.

"È passato troppo tempo" pensò, ed essendo ormai protetto dalla musica, attivò la dissolvenza tra i brani (così da non essere vulnerabile in quel secondo di silenzio tra due canzoni) e si avventurò nel corridoio. "Sono pur sempre il grande Giona Galvani, il Professore!" si ripeté mentalmente, infondendosi sicurezza. Quest'ultima tuttavia svanì non appena ebbe visto lo stato in cui versavano quei corridoi.

Cadaveri di medici, operatori e ricercatori macchiavano le pareti del loro sangue in media ogni 5 metri. I loro volti erano straziati e privi di lacrime, come se avessero visto il Demonio in persona.

Giona alzò il volume al massimo e sfilò un coltello dalla mano del cadavere di uno dei ricercatori. Estrasse il flacone di igienizzante dalla sua tasca, prese un fazzoletto e disinfettò quel coltello, quindi si incamminò in direzione del laboratorio di Ludmilla.

"Che hai intenzione di fare?" chiese a se stesso "Vuoi forse salvarla da uno psichiatra in preda alla follia? Vuoi essere il suo principe azzurro? No! Smettila! Sono soltanto curioso, voglio capire che diavolo sta succedendo qua dentro! Sono appena morti tutti per suicidio... un minimo di preoccupazione mi è lecita!"

Alcuni metri prima del laboratorio vide il corpo senza vita di Luciano. Si fermò un attimo a guardarlo, quasi provando pena per lui. Il suo volto era straziato dalla disperazione più totale e il suo addome era stato disintegrato da un colpo di fucile autoinflitto.

La scena era troppo estrema anche per i suoi standard, per cui rimase lì immobile per alcuni secondi, fino a che non notò con la coda degli occhi una donna dai lunghissimi capelli biondi, accovacciata all'angolo, in preda a fortissimi tremori.

Il suo volto era nascosto dai capelli e dalle ginocchia, ma senza dubbio era – Ludmilla!

Lei non si voltò, rimase nascosta dalla sua chioma, come fosse uno scudo – Giona... perché... perché non sei andato via?

Lui si inginocchiò davanti a lei, portando quindi il suo volto all'altezza dei suoi occhi, ancora coperti. Ripose meticolosamente le cuffiette nella loro custodia e iniziò a guardarla, sperando che lei spostasse i suoi capelli e gli mostrasse il suo viso.

Ludmilla continuava a tremare e sussurrò – Simone...

- Simone? - domandò lui.

- Il ragazzo, il bidello. È immune! - e riprese a piangere.

Giona realizzò subito la gravità della cosa – Quindi è stato lui...

- Sì – rispose lei, bagnando i capelli con le lacrime – È tutta opera sua e purtroppo è ancora vivo.

- Come è ancora vivo?

- Non... Non gli ho sparato – rispose lei con un filo di voce.

- Cosa?! - esclamò Giona – Perché non...

- PERCHÉ NON AVREBBE CAMBIATO NULLA! - gridò lei, poi disse sottovoce – Perché nulla ha senso, Giona – e riprese a piangere.

Giona rabbrividì. "No! Non può essere..." pensò e spostò delicatamente una ciocca di capelli dal volto della donna, rivelando i suoi occhi azzurri intrisi di terrore. Il suo volto grondava di lacrime e il suo corpo esile vibrava seguendo i velocissimi battiti del suo cuore. Lo sguardo del Professore si diresse però verso mento della professoressa, su cui premevano le canne del suo fucile. I suoi capelli lo avevano nascosto perfettamente, ma adesso che Giona lo aveva svelato, gli occhi di Ludmilla annegarono nella disperazione e iniziò a singhiozzare. Le sue dita erano lì sul grilletto a tremare, e il suo sguardo era vuoto di qualunque cosa che non fossero lacrime.

Giona non fu in grado di dire nulla. Semplicemente sorrise, sperando di risollevarle il morale. Lei rise istericamente e sussurrò – La vita è soltanto un brutto scherzo, Giona, l'esistenza un incubo insopportabile! - e premette il grilletto, cospargendo il corridoio di brandelli della sua testa.

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