Capitolo 23

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Le porte si aprirono e Dessi lo spinse fuori dall'ascensore. La donna scollegò Piezo dalla rete elettrica e gli sfilò il collare. Salutò Dessi e si separò dal gruppo.

- Giona è nel suo ufficio che ti aspetta – disse Danilo irritato – Sai già la strada – e lo liberò dalle manette in plastica.

- Vi fidate di me, adesso?

- LUI si fida di te. Io ti avrei sparato in testa davanti alla casa dei Di Dio – ed entrò nuovamente nell'ascensore – Non fare scherzi! - gli intimò mentre le ante si chiudevano.

Piezo iniziò a percorrere il labirinto, consapevole del fatto che l'ufficio del Professore si trovasse ad almeno 5 minuti di corridoi. Solitamente metteva su una canzone di Clarissa e gli Eigenvalues e lo attraversava senza neanche pensarci, ma quel giorno preferì farlo in silenzio. Il cuore gli batteva a mille, devastato dall'ansia per il giudizio di Giona.

Ricordò del suo primo incontro con il Professore. Era stato rinchiuso in una cella del manicomio da poche settimane. Nessuno era riuscito a capire come fermare le sue scosse, per cui era costantemente tenuto sotto sedativi. Lo stress ne aumentava l'intensità e drogarlo era l'unico modo per evitare che il suo cervello si friggesse da solo. Nemmeno la leggendaria Ludmilla era riuscita a trovare il modo di curarlo.

Un giorno, Piero sentì la porta della sua cella aprirsi e vide entrare un uomo alto e magrissimo, assieme alla dottoressa. Ludmilla aveva uno sguardo più solare del solito, come se sperasse in lui per liberarla da quel caso clinico. L'uomo aveva i capelli brizzolati e, nonostante la sua aura di superiorità, vestiva in modo assolutamente casual. Il ragazzo era disteso sul pavimento, incapace di alzarsi a causa dei sedativi.

Ai suoi occhi era tutto sfocato, le voci ovattate, ma riuscì chiaramente a vedere lo sguardo di disgusto e pietà di quell'uomo. Gli si avvicinò e si sedette a terra davanti a lui – Piero Pizzo, 16 anni – e aprì il referto, passatogli da Ludmilla – Interessante... - sfogliò ancora – So chi lo può sistemare.

- Chi? - esclamò lei, sorpresa dalla velocità della risposta.

- Fabrizio.

- Assolutamente no!

- Ascolta Ludmilla, ho un'idea su come salvarlo. Nessuno oltre a Fabrizio è in grado di costruire un impianto del genere.

- E se dovesse morire?

- Sarà stato un incidente. I suoi impulsi sono aumentati improvvisamente ed è morto. I Pizzo lo hanno ripudiato, non si impegneranno più di tanto in tribunale.

E così fu trasferito in un altro stanzino bianco. Tre infermieri lo misero su una barella e lo trasportarono nella stanza Z16 della Singolarità. Lui ovviamente non poté opporsi, se non con qualche lamento incomprensibile.

Fabrizio Fanelli era un biotecnologo di fama mondiale. Le sue protesi innovative avevano salvato la vita a milioni di persone e Giona aveva spesso pensato di affidargli una carica di spicco. Il dottor Fanelli sarebbe stata un'aggiunta formidabile per lo Stato Ideale del Professore, se non fosse stato per le sue tendenze anarchiche. Negli ultimi mesi, Fabrizio aveva iniziato a criticare i suoi modi operandi, portando Giona ad abbandonare l'idea di includerlo nel suo disegno. Tuttavia, il biotecnologo era l'unico in grado di mettere in pratica la sua idea per riparare Piero.

Il dottor Fanelli non volle alcun compenso per il progetto. La peculiarità del caso bastò a convincerlo a collaborare con Giona. Quattro chirurghi, tre ingegneri e sette infermieri discesero nella Singolarità, sedarono ulteriormente Piero e iniziarono ad aprirlo. Giona e Fabrizio osservarono il tutto da una parete in plexiglas.

Dalla stessa parete lo osservarono risvegliarsi alcuni giorni dopo. Per la prima volta in dieci mesi, Piero realizzò di essere lucido. Per la prima volta non era drogato al punto da non riuscire a pensare. La prima cosa che fu in grado di vedere fu il volto di tre infermieri, intenti a monitorarlo. Poi realizzò di non potersi muovere, quindi notò le enormi cicatrici lungo le braccia.

Gli fu spiegato del suo intervento. Il dottor Fanelli gli aveva fatto impiantare dei fili in lega d'oro lungo tutto il corpo, in particolare lungo gli arti superiori. Gli fu spiegato che in quel momento era collegato alla rete con una messa a terra e che si sarebbe dovuto allenare al fine di controllare le correnti all'interno del suo corpo.

Una volta in grado di camminare, Giona lo introdusse a Marilena Maggio. Marilena era una ragazza di 35 anni, conosciuta nell'Organizzazione come lo "Spirito Blu", per via del colore dei suoi capelli e della sua leggendaria sfrontatezza.

"Lo affido a te, Mari" le aveva ordinato Galvani "Rendilo il supereroe di cui questa città ha bisogno!"

Lei fu la prima persona a trattare Piero da essere umano. Durante i primi incontri, passò parecchio tempo a parlare con lui, a cercare di capirlo, a conoscere il suo passato. I due legarono subito e l'addestramento fu più rapido ed efficiente di quanto il Professore avesse previsto.

Non appena Piero fu pronto a staccarsi dalla messa a terra, Marilena gli portò un regalo. I suoi occhi si riempirono di gioia nel vedere quella meravigliosa chitarra elettrica nera tra le sue braccia. Il teschio blu nella parte bassa era stato dipinto a mano da lei, così come la scritta PIEZO. Gli spiegò che quello sarebbe stato il suo nome da supereroe e che avrebbe iniziato ad andare in missione con lei "Quando sarai in grado di suonare questa chitarra. L'amplificatore non ha alimentazione e non ci sono pickups: usa i tuoi nuovi poteri!"

L'immagine di Marilena disintegrata su una parete irruppe in quel ricordo. Il suo sorriso fu sostituito dalla pozza di sangue, piena dei suoi capelli blu, e dalle toppe di pelle tatuate sul marciapiede.

"Quel che ho fatto è giusto!" si ripeté "Risonanza merita di soffrire!" e con questa determinazione, bussò alla porta dell'ufficio di Giona Galvani.

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