CAPITOLO 3

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PAROLE DA PRONUNCIARE

È difficile trovare le parole giuste da pronunciare.
Puoi passare ore a scrivere una storia, ad immaginare una frase e niente pare mai all'altezza delle tue aspettative.
Così inizi a pensare che non è tanto importante quello che dici ma a chi lo dici.
Ognuno, nella propria vita, deve fare i conti con un certo vocabolario.
Le parole determinano i nostri successi e i nostri rimpianti, a volte più delle azioni. Una parola detta male, una non detta può causare una guerra, un cuore spezzato.
Bellarys aveva imparato da Re Jeahaerys che non è chi ha più armi ad avere il potere, ma come le si usa.
Non serve un esercito per vincere, anche una lingua può diventare una lama.
Era ciò che aveva imparato a Dorne, con più maestri di quanti ne rammentasse.
Non aveva solo imparato a camminare, attrarre, lottare ma anche l'arte della persuasione, della retorica.
Non voleva che la sua bellezza disarmasse chiunque, voleva che lo facesse la sua mente. Ma non era semplice, soprattutto per una donna di quell'epoca.
Era raro poter dire qualcosa prima di essere zittita o guardata male, trovare qualcuno che volesse ascoltarla, e non solo guardarla, era complicato.
Bellarys arrivò dinanzi alla sala più grande della Fortezza Rossa.
Vi si accedeva tramite una gigantesca porta di quercia e bronzo, quando annuì fu il Protettore del Reame ad aprirla.
Egli, che teneva il suo elmo su un fianco, si paralizzò quando vide una figura seduta sul Trono di Spade.
Stava per dire qualcosa quando ella sollevò un dito e gli fece cenno di uscire, senza però spostare il suo sguardo dal panorama.
Lo ammise a sé stessa, aveva evitato quel momento dal giorno prima e negli ultimi anni aveva sperato che non arrivasse mai.
Il Trono di Spade, il simbolo di ordine e di caos.
La sala in sé era rimasta identica, era ancora cavernosa e poteva ospitare sino a mille persone.
Era orientata verso nord, con alte finestre sul lato orientale e possenti muri su quello occidentale. Teschi dei draghi Targaryen erano esposti lungo il perimetro, ma non quelli dei più grandi.
Si domandò se un giorno Albalux sarebbe stato fra di loro, sperava di no, era macabro e poi sicuramente avrebbe vissuto più di lei, dato che potevano vivere sino a 200 anni.
Osservò il Trono mentre avanzava sul marmo antico, si sentiva completamente attratta da quelle lame, che arrivavano oltre le colonne.
C'era una leggenda sui Re che ci si sedevano, venivano feriti dalle lame stesse se non degni. Ella ci credeva ma ogni passo che faceva non la stava portando solo verso il trono ma su chi vi era sedut.
A catturare la sua assoluta attenzione non furono i ricordi ma Daemon Targaryen.
Mise le mani dietro la schiena e sollevò il mento, la postura parlava da sola e lui di certo lo capiva.
L'uomo la osservava e quando l'aveva vista entrare si era sentito come soddisfatto, sperava che fosse lei.
Nessuno dei due si sentiva in difficoltà alla presenza dell'altro, non c'erano parole da scegliere, erano semplicemente pronte per essere usate.

<<Cosa pensi di fare, zio?>>chiese lei, nella lingua valyriana.

Egli non pensò neppure di sollevarsi<<Seggo, questo sarà il mio trono un giorno>>

<<No, se prima vieni giustiziato per tradimento>>ribatté<<Mi è stato detto che è da tempo che non vieni a corte>>

<<Non quanto te, Principessa. E poi la corte era terribilmente noiosa>>

<<Era, hai detto?>>

Deamon incrociò le gambe, giocando con qualcosa che aveva fra le dita<<Prima che arrivassi tu a movimentare la medesima>>

<<Allora sei tornato per divertirti?>>

<<Ho sentito che tuo padre ha organizzato un Torneo in tuo e mio onore>>

Ella mosse il capo contrariata, fermandosi dinanzi al trono.<<Ti sbagli, è in mio e in onore del suo erede>>

<<Proprio come ho detto>>

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐡𝐢𝐭𝐞 𝐓𝐚𝐦𝐞𝐫 - 𝐇𝐎𝐓𝐃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora