CAPITOLO 42

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EREDITÀ DI FUOCO

Tutti noi siamo un'eredità.
Siamo ciò che resta di qualcuno, di qualcosa.
Siamo il lascito di un mondo, di un tempo che ci hanno trasformato in qualcosa di ben diverso.
E un giorno anche noi avremmo un'eredità da dare, da creare e da perdere.
Bellarys era molto consapevole di ciò che era e ciò che avrebbe lasciato, era quello lo scopo della sua esistenza : ereditare la vita di suo padre e poi cederla alla sua stirpe.
Ogni volta che ci pensava sentiva un brivido sfiorarle le scapole, attraversarle la schiena fino ad arrivare ai talloni, che improvvisamente non avevano voglia di restare saldi sul pavimento.
L'eredità, per lei, era sinonimo di morte.
Suo padre doveva morire affinché lei prendesse il suo posto, così come lei sarebbe dovuta perire per darlo a suo figlio. Era una responsabilità, un peso insostenibile che toglie il sonno.
Si era svegliata all'alba, incapace di chiudere occhio senza il rumore delle onde che risuonavano a Roccia del Drago. 
Si sentiva solo il rumore delle vite sprecate di quella Capitale, gli sembravano tutti così infelici, rinchiusi in gabbie diverse dalla sua.
Non era più una giovane donna, condizionata dalla libertà di Dorne, ora conosceva molto di più la vita che le spettava. Rhaenys le aveva chiesto se volesse diventare Regina e questo la tormentava, perché non sapeva se aveva pronunciato la verità.
Odiava il Trono di Spade. Allora perché l'idea di rivederlo, dopo sei anni, le attanagliava lo stomaco e le faceva salire l'adrenalina alle stelle?
Le stelle erano state la sola cosa a cui aveva pensato, il rimedio per sopportare la terra era il cielo.

<<Finalmente!>>

Sollevò il viso, stava scendendo la scalinata principale quando scorse Dion. Lui era vestito con una lunga tunica color senape, donava alla sua pelle olivastra. 
Bellarys era in ritardo, non per colpa sua, piuttosto avrebbe dato la colpa ad Albalux che non l'aveva voluta portare a terra quando lo aveva chiesto.
Forse, in cielo, per un secondo aveva pensato di volare via e sparire per sempre.
Ma il dovere aveva avuto la meglio, aveva fatto in tempo a trovare Melisandre nella sua stanza, con una vasca d'acqua bollente, che profumava di gelsomino. L'aveva aiutata a vestirsi, ad acconciarsi i lunghi capelli mossi.
Ora la Donna Rossa le stava dietro, come sempre era la sua ombra e Bell non dimenticò il fatto che un tempo ne avesse due, Harwin.
Scacciò via il suo nome come se fosse stata una zanzara, non voleva sanguinare per un lutto che non aveva mai superato. 

<<Non dovresti rivolgerti a me così, non qui.>>suggerì.

Lui alzò gli occhi al cielo<<Ti conosco da quando avevi dieci anni e la prima volta che ti ho vista sei caduta in una pozza di fango.>>

<<Stai tentando di sdrammatizzare, sul serio?>>

<<È il suo forte>>

Ad aver parlato fu Aedus, che arrivò chissà da dove. Sembrava piuttosto agitato, si mordeva le labbra e si contorceva le dita affusolate. Bell lo guardò come sempre, con occhi dell'amore di una madre.
I suoi capelli castani erano stati ben pettinati, sembravano setosi e le carnagione dorata era arrossata per la tensione. Le sue iridi viola la mirarono, restando colpito di quanto sua madre sembrasse emanare calore.
Lui indossava un completo ben diverso, aveva colori dorniani ma anche di Westeros.
Lo osservò con un sopracciglio alzato, osservando la camicia bianca stretta sotto la giaccia dorata con le spille chiare. 
Non ci volle molto per farle capire che Dion aveva preparato quel suo completo per provocare i Verdi, però stava troppo bene per farle dire qualcosa.
Il Principe dorniano sorrise<<Sei pronta, Principessa?>>

<<Perché non dovrei?>>Alzò le spalle<<Questo è un giorno come gli altri negli Inferi>>

<<Confortante>>bisbigliò Melisandre.<<Entriamo?>>

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐡𝐢𝐭𝐞 𝐓𝐚𝐦𝐞𝐫 - 𝐇𝐎𝐓𝐃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora