CAPITOLO 5

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CIÒ CHE NON SI PUÒ DOMARE

Il popolo, il fuoco e l'acqua non si possono domare.
Ci sono antiche parole, proverbi, talmente veri da divenire immortali, adatti ad ogni epoca e terra.
Il medesimo ne fa parte, rivela una cruda realtà.
La natura ha donato all'umanità il fuoco e l'acqua, nel tempo sono diventati necessari, poi opposti ed infine nemici.
In effetti è questo il percorso di ogni cosa per il popolo, esso ama trasformarsi, evolversi in piccoli passi che paiono enormi.
I Targaryen credevano di essere al di sopra di tale detto, loro cavalcavano draghi, come potevano sentirsi impotenti?
Eppure era solo una vana illusione, nessuno di loro domava i draghi, né l'acqua o il fuoco, e sicuramente non milioni di persone.
Una corona, un trono, sono solo un simbolo per avere diritto di parola e una sella pare donare sicurezza.
Bellarys guardava il suo riflesso nello specchio opaco, cercava qualcosa in sé stessa ma anche quello appariva vano.
Non contava quanto incantevole fosse il suo aspetto, doveva fare affidamento sulla sua capacità di sostenere quel titolo.
Quella giornata era finita e n'era sollevata, sapeva che i servi reali stavano giungendo per aiutarla come da protocollo. Ma stare sola con Albalux era il suo unico rimpianto, quella mattina non era stata abbanstanza.
A Dorne erano sempre insieme, egli giaceva nel cortile davanti alla sua dimora e la sua grandezza non era stata un ostacolo.
Ella rammentava ancora quando era così minuto da starle sulla spalla o da andare sotto il suo letto, si addormentava sul suo cuscino e ne bruciò uno una volta.
Lui era stato il suo più grande amico, in realtà era stato come un figlio.
Per molto tempo altri si erano occupati di lei, anche fin troppo e questo le aveva recato rabbia e vergogna. Non perché fosse orgogliosa, cosa che era, ma perché si era sentita impotente, inumana, violata, il suo corpo non era più suo.
Ma Albalux era tutto quello di cui aveva bisogno, quando era guarita aveva avuto la necessità di prendersi cura di qualcun altro. Forse non lo diceva ad alta voce ma esso era suo figlio, il modo in cui era nato dal guscio gliene aveva dato prova.
Qualcuno bussò alla sua porta, si ricompose. Si voltò e dall'entrata apparve Lady Melisandre, indossava il suo abito rosso, i capelli erano raccolti e fece un piccolo inchino. Era accompagnata da Ser Cole.

<<Melisandre, sono lieta che tu sia qui. Necessito di uno dei tuoi bagni bollenti, sono appena tornata da un pomeriggio con mia sorella. Le preoccupazioni che mi ha ricordato hanno bisogno di annegare>>

<<Temo di non poterlo fare>>ammise. <<Come vedi non ci sono servitori ma Ser Criston>>

Sorrise facendogli un cenno di saluto, che lui ricambiò in modo regale.
Le porte erano ancora aperte e quindi gli altri cavalieri nei corridoi potevano vederli e sentirli.

<<Di cosa si tratta? Mia madre è entrata in travaglio?>>

<<Non ancora, Principessa>>

<<Dunque, dovrò aspettare in eterno che tu mi dica la ragione per cui non posso fare il mio sacro bagno?>> domandò, mettendo le mani sui fianchi. Odiava quando qualcuno girava intorno al punto focale di una conversazione.

<<C'è una seduta del Consiglio, è urgente. Devi recarti lì>>

Scosse il capo<<Non devo fare nulla, non sono stata convocata dal Concilio Ristretto>>

Lady Melisandre, affatto soddisfatta dalla risposta fece chiudere le porte al dorniano. Poi fece un passo in avanti, comportandosi con più naturalezza<<Questo non dovrebbe fermarti>>

<<Come può non farlo? Non faccio parte del Concilio e sicuramente non sono io a servire il vino ai membri>>commentò<<Onestamente non vedo come io sia di utilità a mio padre>>

<<Non si tratta dal Re ma di te. Devi presenziare sempre e ovunque>>

Sospirò<<Non stiamo parlando di etichetta reale, vero?>>

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐡𝐢𝐭𝐞 𝐓𝐚𝐦𝐞𝐫 - 𝐇𝐎𝐓𝐃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora