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Quando Nicolò mi ha proposto di darmi un passaggio a casa, non avrei immaginato che avesse un motorino a sua disposizione: dopo qualche minuto di cammino arriviamo in un parcheggio dove mi ha detto che ha parcheggiato la sua moto.
<<penso che andrò a piedi>>
<<perchè scusa?>>
Sento un nodo in gola che mi impedisce di parlare. Dalla frustrazione che avverto mi limito a prendergli il casco dalle mani.
Saliamo entrambi dopo esserci messi entrambi il casco. Io sono dietro di lui. Non sono mai salita su una moto dato che nessuno dei miei familiari ne ha mai avuta una. Qualche mese fa mio fratello pregò mia madre e mio padre di comprargliene una, ma l'hanno sempre ritenuta troppo pericolosa perciò non l'hanno mai fatto.

Ad essere sincera mi hanno sempre messo ansia tutti i mezzi che non siano la macchina ma non sono mai stata in grado di capirne il motivo.
Eppure non ho mai avuto il motivo di avere paura. Sono sempre stata una persona molto ansiosa a dire il vero.
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Il viaggio è abbastanza lungo e circa a metà per la paura di cadere giù dal mezzo a due ruote istintivamente mi avvicino a Nicolò abbracciandolo dalla schiena. Lui si irrigidisce all'istante ma lo vedo sorridere dallo specchietto retrovisore.
Non appena ci fermiamo a un semaforo si volta verso di me ed esclama:
<<ti senti bene?>> Lo sento trattere una risatina che mi fa innervosire.
Il mio ego mi spinge ad allontanarmi da lui e ad annuire fieramente.
Lui alza le spalle e riprende a guidare non appena il semaforo diventa verde.
Non appena arriviamo a casa sono accese solamente le luci del soggiorno: Christian deve essere ancora sveglio, come al solito. Mi tolgo il casco e glielo porgo e senza neanche salutarmi se ne va sfrecciando sulla moto. Lo guardo allontanarsi finché la strada rimane vuota, isolata.

Entro in casa e trovo Christian addormentato sul divano mentre sulla tv va in onda un episodio di Stranger Things. Lo copro con una coperta che trovo accanto a lui e subito dopo mi limito ad andare in camera mia a cambiarmi dopo aver spento la TV.
Mi faccio una doccia indossando il mio pigiama.
Mi sdraio sul letto chiudendo gli occhi senza riuscire ad addormentarmi.
Tutti saranno ancora alla festa perciò è inutile che chiami Sabrina e Matilde per chiederle di farmi compagnia.
Mi limito a chiudere gli occhi per cercare di prendere sonno.

Nicolò pov's:
Sono appena arrivato a casa. Ho parcheggiato la moto fuori casa nel vialetto dove non c'è nessuna luce accesa.
Entro in casa e trovo mio padre seduto sul divano con il suo computer il mano mentre ci digita qualcosa schiacciando delicatamente sulla tastiera.
Non appena sente il rumore della porta sbattere si gira verso di me ma guarda solo il casco della mia moto che ho in mano.
<<ti ho detto mille volte che non voglio che la usi la moto>>
Sbuffo e senza dire niente sbatto tutto ciò che ho in mano sul comodino accanto all'entrata mettendo il mio cappotto sull'attaccapanni.

Salgo le scale con tanta fretta mentre cerco di trattenere le lacrime. Cazzo non mi guarda neanche in faccia. Si vergogna di suo figlio forse?
Dopo aver preso un asciugamano dalla mia stanza vado in bagno al piano di sotto a farmi una doccia.

Esco circa dieci minuti dopo con un asciugamano avvolto in vita. Salgo le scale cercando di non far scricchiolare il legno.
Indosso la mia biancheria con una maglietta nera assieme ad un paio di pantaloni della tuta.
Mi sdraio sul letto a pensare alla festa: devo dire che stata davvero una noia mortale o che quantomeno di mi sono sentito come al solito fuoriluogo.
Perché non riesco mai a trovare un posto che faccia per me all'infuori del campo da calcio? Perché sono sempre non all'altezza della situazione?

Le cose non potrebbero andare peggio: mio padre non mi considera e per di più non riesco ad ambientarmi da nessuna parte.

Sono sul punto di piangere quando ricevo un messaggio su Whatsapp da Greta. Ho memorizzato il suo numero quando l'abbiamo aggiunta sul gruppo di classe, senza però mai scriverle.

Chat con Greta:

G: hey, scusa non volevo disturbarti, volevo solo ringraziarti per il passaggio
N: figurati, non c'è di che
...

Continuamo a parlare per un bel po'. Mi accorgo solo ora che sono già le dodici e mezza perciò decido di spegnere il telefono, ma non riesco a dormire.
All'insaputa di mio padre decido di uscire.
Indosso una semplice maglietta grigia con un pantaloncino nero.
Esco di casa portando fuori solamente le chiavi, il cellulare, i portafogli e il mio pallone del Cagliari.
Cazzo fa freddo, ma ormai non posso tornare a casa, rischierei di svegliare mio padre con tutto il rumore.

Cammino per circa dieci minuti e arrivo in un campetto dove spesso mi ritrovavo con i miei amici delle scuole elementari, che ovviamente ora non mi rivolgono più la parola.
Inizio a calciare più forte che posso la palla nella porta.
Ricordo quando mio padre veniva qui con me a giocare ed ora invece mi ritrovo a sfogarmi qui da solo come uno stupido.

Dopo un altro paio di tiri la prendo la palla in mano e la butto per terra così forte che per poco ho paura che esplodi.
Mi siedo per terra che quasi mi manca il respiro.
Avvolgo la testa tra le mani cercando di calmare l'ira che sento scorrermi in tutto il corpo.
Non riesco a calmarmi e non riesco a smettere di piangere.
Le lacrime ormai colano sul mio viso senza che io possa fermarle.
Il mio respiro è affannato e la vista sta diventando leggermente offuscata.
Mi stropicciato gli occhi con le mani e successivamente le stringo ancora attorno alla mia testa arrivando a strattonarmi perfino i capelli.
È in questi momenti che mi rendo conto di una cosa importante quanto triste: sono solo.

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Spazio autrice:

Hey come state?
Cosa ne pensate del capitolo? Scusate la lunga assenza ma cercherò di essere più attiva.
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