- Capitolo Trentacinque -

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Quando Aera tornò, ormai non era più Aera, ma il ritratto della vergogna stessa

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Quando Aera tornò, ormai non era più Aera, ma il ritratto della vergogna stessa.

Due Amter la strattonavano e spingevano in avanti, verso la cella dalla quale era uscita. La tenevano per le braccia, impedendole di coprire alla vista degli altri prigionieri i punti in cui il suo vestito lilla era stato strappato e lacerato.

Un rivolo di sangue scendeva, seguendo il contorno della sua coscia sinistra, fino ad arrivare alla caviglia. La ragazza barcollò, quando venne lasciata andare, e quindi spinta all'interno della cella. La porta si richiuse con un clangore metallico che la fece sobbalzare.

I suoni erano ovattati, come coperti dalle grida che non stavano più uscendo dalla sua bocca. Ma, nella sua testa, Aera stava ancora urlando.

Udì il tintinnare di boccette di vetro, e la parola veleno. Clood e gli altri Amter stavano facendo le dovute distribuzioni, su ordine del dottor Tizho.

A lei e Roon non venne consegnato nulla. Ora Aera capiva – loro due sarebbero stati usati per esperimenti più dolorosi. Il concetto non la spaventava più così tanto. Le dava solo fastidio, e odiava l'idea che avrebbe sofferto tanto senza poter chiudere gli occhi e decidere di morire.

Pensò che fosse ciò che desiderava anche Roon. Come si può desiderare la vita, dopo aver attraversato tanta sofferenza? Né decenni, né secoli sarebbero mai stati abbastanza per lenire tutto quel male.

I passi degli Amter si allontanarono, e rimase solo Clood, di guardia.

La porta si aprì cigolando, e Aera si irrigidì. La sua mente discese in una spirale di panico. Forse non era Clood a essere rimasto. Forse era uno di quegli Amter con cattive intenzioni. Forse anche Clood aveva cattive intenzioni.

Al minimo contatto, Aera reagì tirando una gomitata all'indietro, e colpì qualcosa di duro.

Clood borbottò un'imprecazione, prima di tirarsi indietro, e lasciare cadere qualcosa a terra. Qualcosa di leggero, di morbido. «Volevo solo darti questa.»

Aera allungò una mano, e scoprì che si trattava di una mantella. No. Era il suo mantello rosso, quello della divisa da Guardia Imperiale.

Aera tentò di ringraziare, ma scoprì che la sua voce se n'era andata. Si strinse allora nella mantella, raggomitolandosi contro il muro che separava la sua nuova cella da quella in cui erano rinchiusi gli altri ragazzi.

Cominciò a mormorare parole, piano, ritrovando la forza di parlare a poco a poco. Pregava perdono.

Aveva mentito, e aveva tradito Reyns, e se stessa, con le sue parole e con i suoi gesti. Stava per morire, per le torture o per la Lefsan, e per di più ora stava per morire senza la sua dignità.

Ma non l'aveva forse persa molto tempo prima, la sua dignità? Forse sì, eppure forse in seguito l'aveva riacquistata. Comunque fossero andate le cose in passato, ora una dignità non l'aveva più.

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