- Capitolo Trentasei -

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L'ultimo sanatorio che Reyns visitò, quando aveva ormai perso la speranza, si trovava nei pressi della piazza principale della città, in una stradina laterale

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L'ultimo sanatorio che Reyns visitò, quando aveva ormai perso la speranza, si trovava nei pressi della piazza principale della città, in una stradina laterale. Il ragazzo percorse il lastricato, stringendo il Ciondolo dell'Aquila, che tintinnava a ogni suo passo, pregando il gioiello di fargli ritrovare Aera viva in mezzo a tutta quella distruzione.

Notò, al lato opposto della strada, delle biglie di vetro, ma non un bambino che ci giocasse. Quella vista fece traboccare il suo cuore di tristezza.

Il ragazzo si voltò, tentando di riportare la mente sul suo incarico, salì i due gradini e bussò alla porta del sanatorio.

Venne ad aprire una donna, il viso smunto e pallido. Reyns ricambiò il suo sguardo spento.

«Sei venuto a trovare qualcuno?» gli chiese lei, con un filo di voce.

Il giovane ripeté ciò che aveva detto in tutti i sanatori che aveva visitato. «Sto cercando una ragazza, che temo sia ricoverata qui. Ha quattordici anni, i capelli scuri, ricci, e gli occhi azzurri,» provò ad aggiungere più dettagli alla descrizione, consapevole che Aera potesse aver nascosto la sua identità di principessa di Lanth.

L'infermiera scosse la testa, ma aprì comunque la porta, e lo lasciò entrare. «Si chiama Aera.» continuò Reyns, varcando la soglia, «Qualcuno di voi l'ha incontrata, per caso? L'avete vista da qualche parte, in città?» tentò di chiedere ai malati. Era come parlare ai morti.

Chi riusciva ad emettere un filo di voce rispose di no, qualcuno scosse la testa, altri lo guardarono semplicemente.

Eccetto uno di loro. «La principessa?»

Una voce flebile venne udita da Reyns. Ma era la voce di un bambino.

Un bambino in quel sanatorio, colpito dalla Lefsan. Un bambino innocente che stava pagando un prezzo troppo alto per qualsiasi uomo.

Il ragazzo non si prese un secondo per provare a chiedersi il perché di quell'ingiustizia - era ormai pienamente convinto del fatto che la giustizia stessa fosse una grande bugia - e si avvicinò al letto dove era disteso il corpicino fragile del bambino che aveva riconosciuto la descrizione della principessa.

«Sì, è lei che sto cercando.» confermò, allora, «L'hai incontrata?» chiese, pieno di speranza, seppur sofferente della lacrimevole vista del bambino dalla fronte che grondava sudore, e del suo petto che si alzava e si abbassava a un ritmo sempre più rapido.

Era giusto, da parte di Reyns, costringersi a sostenere quella vista senza tentennamenti alcuni, pur di ritrovare la ragazza che amava?

«No,» mormorò il bambino, ma forse non era la risposta, anzi, certamente non lo era, perché continuò a lamentarsi e a urlare la parola no, sempre più forte, sotto gli occhi di Reyns, che non riusciva a sopportarlo. Erano suppliche perché le fitte causate dalla Lefsan cessassero al più presto.

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