- Capitolo Cinquantaquattro -

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Dall'alto della scogliera, Jylan assistette a quello che avrebbe definito un miracolo, se non avesse tanto odiato quei due ragazzi

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Dall'alto della scogliera, Jylan assistette a quello che avrebbe definito un miracolo, se non avesse tanto odiato quei due ragazzi.

Erano vivi. Non era giusto. Erano l'ingiustizia fatta persona. Dovevano essere morti. Doveva ucciderli. Perché era giusto.

Con le mani tremanti, e il dubbio crescente che si trattasse di un'illusione creata dalla sua mente o dal vino, Jylan strinse la balestra e incoccò un dardo. Tese la corda, puntando al ragazzo.

Reyns alzò lo sguardo verso di lui, come se stesse a sua volta prendendo la mira per scoccare una pioggia di frecce, e si pose tra lui e Aera.

«Provaci!» lo invitò, aprendo le braccia, e urlando per sovrastare il suono del vento e delle onde, «Prova a uccidermi, ora!»

La ragazza si avvicinò a Reyns, prendendogli una mano, impaurita e insicura. Il giovane le rivolse uno sguardo e un sorriso, ma rimase fermo.

La prima freccia scoccata da Jylan lo superò di molto, e si perse tra le onde.

La seconda andò a finire più vicina alla scogliera, ma ancora in acqua.

La terza si conficcò ai suoi piedi, tra le insenature della roccia.

La quarta gli sfiorò la guancia, e un rivolo di sangue cominciò a scorrere dalla ferita.

Reyns si morse il labbro, ma poi chiuse gli occhi, calmo, respirò profondamente, e ancora restò immobile.

Aera, dietro di lui, era impaurita, tremava come una foglia, e chiamava il suo nome. Tutto ciò che Reyns fece per calmarla fu rivolgerle un altro sguardo, che la tranquillizzò più di quanto non sarebbero state in grado di fare mille delle sue parole.

Aera si ricordò la sua voce, che riecheggiò nella sua mente. «Dobbiamo credere negli Dei, e tutto si risolverà.»

Anche lei tirò un lungo sospiro, e trovò davvero la forza di credere, non soltanto sperare, come proprio Reyns le aveva sconsigliato tempo prima. Come si era appena pentita di fare.

La faceva sentire così sicura, ricominciare ad avere fede negli Dei che aveva dimenticato, ma aleggiava, nella sua mente, la paura di venire tradita di nuovo, di venire presa in giro di nuovo da quegli Dei irraggiungibili che decidevano il suo destino.

Forse otto, nove, dieci volte, nella mente di Aera si proiettò l'immagine spaventosa della prossima freccia scoccata da Jylan che ancora, come era già accaduto in passato, colpiva Reyns al cuore, lasciandolo a terra, immobile, in un lago di sangue rosso.

Ma non accadde mai. E sia lei che Reyns sapevano che non sarebbe mai accaduto, che non sarebbe mai potuto accadere. Ora entrambi credevano. Avevano il diritto di credere.

Dopo aver sbagliato mira per la dodicesima volta, Jylan si rassegnò, e scagliò la balestra a terra, urlando la sua frustrazione. Non poteva essere solo la stanchezza, la paura, o la sfortuna. C'era qualcosa, una forza, qualcuno che gli impediva di uccidere quei due ragazzi.

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