- Capitolo Quarantadue -

12 5 16
                                    

La fiducia di Ceala, in effetti, non poteva dirsi malriposta

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

La fiducia di Ceala, in effetti, non poteva dirsi malriposta.

Kael era il migliore a impersonare chiunque, e a spacciarsi un esperto in qualsiasi professione, o di qualsiasi rango sociale. Devjm era il migliore a commettere furti, sfilare chiavi dalle tasche, entrare e uscire da una porta lasciata socchiusa senza farsi vedere o udire.

Non ci era voluto molto perché fossero pronti a mettere in atto il loro piano.

Kael sfoggiava la veste bianca bordata di blu tipica dei medici Reali, e si sarebbe detto un giovane apprendista, una volta entrato nel laboratorio.

Aveva sbuffato, appena l'aveva indossata. Come temeva, le maniche erano troppo corte. Kael era già stato costretto a spogliare i suoi tipici bracciali, e ora questo. Con i suoi polsi in mostra, chiunque avrebbe notato quei segni. E forse anche Devjm avrebbe fatto domande. E Kael non voleva rispondere.

Quelle cicatrici erano un fallimento.

Erano le conseguenze di tutte le sue fughe fallite dalla fortezza di Vyde. Erano il danno e la beffa, il modo di Vyde di ricordargli in eterno che non sarebbe mai stato libero.

E Kael aveva tentato in ogni modo di essere libero.

Quando era fuggito una volta di troppo, come aveva detto Vyde, il nobile lo aveva non solo chiuso nella sua stanza con le inferriate alle finestre – visto che non era bastato. L'aveva anche fatto incatenare al muro, con manette di metallo pesante a entrambi i polsi.

Era allora che Kael aveva pensato che l'unico mezzo per smettere di essere un prigioniero fossero proprio quelle manette. Quel metallo era solo una lama non molto affilata. La morte solo un altro modo per sfuggire da quella gabbia.

Eppure, Vyde lo aveva salvato. Come un segugio, un predatore – o il demone che era – doveva aver sentito l'odore del sangue. Kael si rifiutava di credere che fosse entrato in quella stanza al momento giusto solo per caso.

La sua vista era già annebbiata. Vyde aveva atteso che lui cantasse vittoria, per poi rinfacciargli che non poteva vincere a quel gioco. Perché le regole le faceva Vyde, solo Vyde, e poteva cambiarle quando voleva.

Kael prese un lungo sospiro, e ricacciò quei ricordi in un angolo della sua mente. Quello dove abitavano tutti gli innumerevoli episodi in cui il suo orgoglio era stato ferito.

Ora doveva concentrarsi sul suo compito.

Devjm, nei suoi abiti civili sporcati appositamente di terra – sia per lasciare tracce, sia per sembrare davvero un povero ladruncolo – aveva già fatto il suo ingresso, e in poco tempo avrebbe commesso il furto per cui era già deciso che sarebbe stato incastrato.

Tutto ciò che Kael doveva fare ora era seguire quelle tracce, che lo avrebbero condotto fino a Devjm.

Quelle briciole di terra scura spiccavano sul pavimento di marmo bianco. Erano impossibili da non vedere anche tra le venature più grigiastre e quasi azzurrine.

Il Viaggio per la PaceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora