- Capitolo Quarantotto -

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«Elenar,» continuava a chiamarla Geka, «Resisti, ti prego, Elenar! I medici di Lanth arriveranno presto

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«Elenar,» continuava a chiamarla Geka, «Resisti, ti prego, Elenar! I medici di Lanth arriveranno presto. Con la prossima nave, magari. Resisti, Elenar, resisti!»

Ma la povera Elenar ansimava, sudava, ed era costantemente scossa da brividi. Di tanto in tanto si levava un gemito di dolore, poi si tramutava in un urlo soffocato, che Geka copriva con le sue preghiere.

Aera, seduta su una sedia poco lontana dal letto, guardava fuori dalla finestra, in direzione del porto, eppure era dominata da un'ansia crescente, che i medici fossero già arrivati, fossero stati fermati, oppure che non sarebbero mai giunti sull'isola.

Era preoccupata per Elenar, per se stessa, e ancor di più per Reyns; se era davvero andato nelle segrete per cercarla, Tizho o i suoi Amter lo avevano quasi certamente trovato, e allora chissà che cosa gli avrebbero fatto.

Ogni volta che tentava di farsi venire un'idea su come affrontare e risolvere la situazione, i suoi ragionamenti venivano interrotti dai lamenti di Elenar, e dalle parole di Geka, che cercava di confortarla.

Ma Elenar la ignorava, piangeva, scuoteva la testa, chiedeva scusa, diceva che non ce l'avrebbe mai fatta.

«Mi dispiace... Geka.» fu in grado di dire, tra una fitta e l'altra, «Non riesco a... essere forte... come te.»

«Ma che cosa diavolo stai dicendo, stupida?» ribatté l'altra, «Tu sei forte, Elenar! La Lefsan forse sembrerà più forte di te, ma non lo è davvero! Resisti, lo so che fa male. Urla quanto vuoi. Qui non sei sola. Ma resisti, Elenar, non arrenderti!»

Ben presto, tuttavia, le parole di Geka per rassicurare l'amica si tramutarono in domande. «Non vuoi andartene, vero? Non vuoi lasciarmi sola, giusto?»

E poi, da richieste divennero preghiere. «Elenar, ti prego, non chiudere gli occhi! Non addormentarti, Elenar, parlami! Elenar!»

Aera sentiva di non poterne più. Stava crollando. Tremava. Si sentiva oppressa dalle sue preoccupazioni, dai suoi dubbi, fondati o meno che fossero.

Elenar stava soffrendo, Geka stava soffrendo, lei stava soffrendo, e ovunque fosse Reyns, se non era già morto, stava soffrendo.

Aera sentiva di potersi riconoscere il coraggio di affrontare la situazione, ma non la forza. Era impossibilitata ad agire. Aveva la sensazione di non stare combinando assolutamente nulla di buono.

Stava perdendo tempo. Avrebbe potuto fare qualcosa. Avrebbe dovuto fare qualcosa.

Decise di tentare.

«Geka,» iniziò a dire, «Io non ce la faccio più a stare qui.»

«No, Aera, no! Devi restare! Come facciamo, io ed Elenar, senza di te? Devi rimanere qui, con noi!» tentò di convincerla Geka, mentre l'altra si allontanava.

Geka la afferrò per un polso, disperata. Aera si voltò di scatto, e schiaffeggiò la sua mano, in un gesto automatico. Arretrò di un passo, massaggiandosi la zona in cui l'amica l'aveva toccata.

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