- Prologo -

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Clood si svegliò, di primo pomeriggio, e si rese conto, con non poco dispiacere, che era ormai tempo che si mettesse in cammino verso il villaggio orientale dei campi di Lefs

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Clood si svegliò, di primo pomeriggio, e si rese conto, con non poco dispiacere, che era ormai tempo che si mettesse in cammino verso il villaggio orientale dei campi di Lefs. Avrebbe fatto ritorno a Evol - il viaggio sarebbe durato tre giorni.

Quanta stanchezza, al solo pensiero! E soprattutto quanto era opprimente il senso di impotenza, di fronte ai compiti che avrebbe dovuto svolgere una volta tornato laggiù.

Sforzandosi di non direzionare la mente su quei pensieri orribili, si alzò dal letto, curandosi però, come sempre, di risistemare le coperte, anche se solo alla bell'e meglio.

Si rivestì della sua tunica bianca, calzò i sandali, e terminò con il drappo rosso, tipico dei Messaggeri Imperiali di Evol e della classe nobiliare dell'Arcipelago. Se lo mise sulla spalla sinistra, lasciando un lungo lembo con il quale compì più volte il giro del torace e del braccio, in modo da creare un elegante gioco di pieghe e lasciare scoperto il braccio destro.

Il suo occhio cadde per l'ennesima volta sul bracciale d'argento che era costretto a portare al polso destro, su quel simbolo rosso che lo adornava, e che faceva sentire Clood come se fosse stato incatenato a quel destino, pesante di colpe che diventavano sue anche quando non lo erano. Non c'era qualcosa che poteva fare per liberarsene?

Forse, un pensiero attraversò la sua testa, scappare.

Certo, scappare, rifugiarsi a Lanth per non tornare mai più a Evol, lasciare che quel sistema corrotto crollasse senza di lui, non dover assistere alla rovina di quel regno standosene con le mani in mano.

Ma poteva davvero farlo? Dentro di sé, sapeva che non si sarebbe mai perdonato se avesse fatto soltanto un briciolo in meno di ciò che era il massimo delle sue capacità.

No. Sarebbe tornato, certo che sarebbe tornato, e avrebbe posticipato la fine di Evol, dell'intero arcipelago di Neeq, fosse anche solo di un giorno, ma avrebbe fatto la sua parte, e quella degli altri, e di quante più persone gli sarebbe stato possibile. E anche mentre tutti si sarebbero tirati indietro, Clood non avrebbe lasciato che il silenzio avesse la meglio, non sarebbe svanito insieme agli altri.

Avrebbe combattuto, anche se era una battaglia persa. Si sarebbe sentito sconfitto solo se si fosse arreso - per questo non poteva rifugiarsi a Lanth.

Con questi soli pensieri a dargli conforto, Clood si avviò verso la porta, assicurandosi, prima di aprirla, di non aver dimenticato nulla, nella stanza.

Avutane la conferma, uscì nel corridoio e camminò in direzione della prima rampa di scale che l'avrebbe condotto al pianterreno, ma una voce lo distolse dalle sue riflessioni. Era la voce di un soldato, un Sakrum, il cui obiettivo sembrava quello di seminare il panico, mettendo in allarme chiunque si trovasse all'interno della fortezza.

«Lord Orlud è morto! È stato ucciso!» gridava, correndo giù dalle scale che portavano al secondo piano, al lato opposto del corridoio rispetto a dove si trovava Clood.

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