77 Il fuoco della contrizione

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23 dicembre 2018

Serena

«Mio padre è...Adam.»

Un brivido mi attraversò quando pronunciai il suo nome, e il respiro si trasformò in nuvole di vapore nell'aria ghiacciata. Avevo il cuore pesante come il piombo, e ogni parola sembrava trascinarsi fuori da un abisso di dolore.

Sono stata cattiva.
Sono stata cattiva con mamma e papà.
Sono cattiva.
Una bambina cattiva.
Una stupida bambina cattiva.

Papà non ha fatto del male alla mamma.
La mamma mi ha nascosta per proteggermi dall'uomo cattivo, dal mostro dietro la tenda.
La mamma mi voleva bene.
Anche il mio papà mi avrebbe amata se gli fosse stato permesso.

Guardai il vestito di Amerie: era sporco. Ero coperta dal fango, non solo metaforicamente ma anche fisicamente; le macchie scure e umide sulle mie mani e sul viso erano il riflesso della mia tormentata anima.

Gesù, concedici una grazia.
Concedimi il desiderio di avere una famiglia al completo.
Concedimi l'amore di mamma e papà.

Fu tutto ciò che pensai prima di svenire, sentendo il mondo crollare intorno a me come un castello di sabbia colpito dalle onde implacabili del lago nero. Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai fra le braccia di Elio, che mi sostenne con premura frattanto le lacrime solcavano il mio viso.

Era stato Ares il bianco, il mio angelo custode, a salvarmi dall'oscurità in cui stavo affogando. Ma quel gesto eroico aveva un costo, un prezzo che dovevo pagare per scoprire la verità: un frammento del passato, una tessera importante del grande puzzle che stavo lentamente componendo.

Era come se ogni volta che mi salvava, si allontanasse sempre di più, fino a diventare il prezzo stesso della mia salvezza. Mi avrebbe salvata ancora, sarebbe morto se non lo avessi allontanato.

«Ares, tuo padre mi fa schifo», sussurrai.

Scusa, Ares, non voglio coinvolgerti più di quanto tu lo sia già.

«Ares, tuo fratello ha provato ad uccidermi.»

Scusa, Ares, non voglio che tu soffra, ma devi smetterla di salvarmi.

«Ares, stammi lontano, ti odio!» esclamai, caricando la mia voce di un tono rabbioso che lo avrebbe scosso.

Scusa, Ares, non ti permetterò di morire a causa mia.

«Elio, portami via», ordinai al mio compagno.

Via da Ares.

Ancora con il viso nascosto, non vidi la reazione dei ragazzi. Sentivo solo il mio cuoricino battere all'impazzata e il ritmo tranquillo del cuore di Elio. A Elio non importava cosa era successo? A Elio non lo avevano scosso le notizie apprese? No, era imperturbabile. Come sempre. E se a lui non importava, perché stavo piangendo a causa della sua indifferenza alle emozioni?

Mi condusse attraverso i corridoi vuoti del dormitorio maschile; l'aria era impregnata di un silenzio cupo, interrotto unicamente dal suono ovattato dei nostri passi. Ogni angolo raccontava le storie degli studenti che vivevano e crescevano tra quei muri, ma per me, quel luogo era diventato un labirinto di confusioni e dolori.

Entrammo nella sua camera, un ambiente familiare eppure estraneo al contempo. I mobili, i libri sparsi sul comodino, il quaderno aperto sulla scrivania: tutto sembrava immerso in un'atmosfera sospesa nel tempo, mentre io ero l'unica a essere profondamente cambiata.

E non parlo del colore dei capelli, degli occhi, delle ossa che sporgevano dalle spalle. Della spina dorsale che si intravedeva quando mi abbassavo. No. Parlo di...

Sono confusa.
Ho paura.
Sono delusa da me stessa.
Ho sbagliato, ancora una volta.
Ho etichettato le persone, giudicate, ferite.

Accecata dal mio dolore, non mi ero resa conto del male che avevo procurato e avrei continuato a procurare.

Non avevo trovato una famiglia tra le creature sovrannaturali, né tra gli umani. Non l'avrei mai trovata da nessuna parte. Ero sola, come meritavo.

«Sarai sola», sentenziò Endlenis. Anche la sua promessa era cambiata. Nel niente di immutabile, tutto era cambiato, compresa la sua promessa di supporto.

-Trentuno

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