84 Tessitura delle sorti 🔥

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29 dicembre 2018

Serena

«Papà, potresti smetterla di imbrogliare?» chiesi infastidita, mentre raccoglievo le carte sul tavolo. «Lo sai che sono imbattibile!» Feci l'ultima briscola, esultando per la mia vittoria, e un sorriso di trionfo danzò sulle mie labbra.

Adam sbuffò. «Va bene, va bene. Amo giocare in compagnia, ma preferisco il solitario.»

«Perché?» Mi piaceva scoprire qualcosa di più sui gusti del mio papà, apparentemente riservato.

«Perché ci giocava sempre Ferdinando», sospirò. I suoi occhi diventarono opachi per un istante, prima di ritornare al presente.

«Come è morto il nonno?» domandai con delicatezza, consapevole che il passato poteva essere una ferita ancora aperta.

«Aveva una malattia simile al Parkinson, cosa inimmaginabile per noi lupi. È accaduto all'improvviso,» la sua voce si incrinò, «e altrettanto improvvisamente è deceduto. Me ne accorsi giocando a scopa, quando la sua mano cominciò a tremare.»

Mi avvicinai a lui, sentendo la necessità di confortarlo. «Mi dispiace averti rattristato.»

«Tutt'altro, bambina. Vieni qui.» Le braccia di mio padre si aprirono accoglienti, invitandomi a trovare rifugio nel suo abbraccio.

Mi precipitai verso Adam e inalai l'odore familiare di muschio bagnato, trovando quella sicurezza che solo lui sapeva darmi. «Ne avevo bisogno, grazie papà.»

«Dai, muoviti o arriverai in ritardo a lezione.» Mi diede una pacca sulla nuca, un gesto affettuoso che mi scaldò il cuore.

«Non posso saltarla? Oggi non ne ho voglia», tentai speranzosa, desiderando rimanere ancora un po' con lui.

«No, voglio che il mio popolo sia colto e preparato», rispose con tono deciso. «Se superiamo la tragica situazione che stiamo per affrontare, potremo finalmente vivere in pace e ciascuno sarà libero di seguire i propri sogni.»

Papà era ammirevole, voleva proteggerci tutti. Non sapeva ancora che non poteva.

«Ti voglio bene, papà. A dopo, ora vado.» Prima di sgattaiolare via, gli diedi un bacino sulla guancia che lo fece arrossire.

È così tenero.

Invidiavo le ragazze che riuscivano a essere affettuose con la propria figura paterna. Probabilmente, se lo avessi sempre avuto al mio fianco, non avrei osato esternare tale manifestazione di affetto. Ma avevamo diciotto anni da recuperare, anzi diciannove, considerando che prima non sapevo nemmeno chi fosse.

Estrassi dalla tasca del jeans la tavoletta di cioccolato bianco che gli avevo rubato e ne staccai un pezzo, mangiucchiandolo prima di entrare nel bagno per fare una doccia rilassante.

Mi spogliai con movimenti lenti, gettando distrattamente nella cesta i vestiti stretti e opprimenti. Con cura, sciolsi i capelli dalla coda di cavallo, provando il sollievo nel liberarli dal loro fardello quotidiano. Accesi l'acqua e lasciai che il flusso rovente accarezzasse la mia pelle, frattanto la nebbia si diffondeva nell'aria, offrendo un velo di privacy.

Viola entrò nel bagno con un lieve tintinnio di bracciali. Non me ne curai; ormai ero abituata alla nostra convivenza. Ci eravamo già lavate insieme in passato e avevamo ripreso a scambiarci qualche parola come se niente fosse cambiato: semplici "buongiorno" e "buonasera" quando capitava, senza troppi fronzoli. Dopotutto, non avevo ritrovato più i suoi tacchi.

like camellia's in springDove le storie prendono vita. Scoprilo ora