20. Pasta!

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EDOARDO

Miriana entra in cucina e subito noto la sua espressione, un misto tra sbalordita e confusa.

Indossa di nuovo quei pantaloncini neri, struccata e con i capelli raccolti, devo cercare di controllarmi.

«Dove hai preso quel grembiule?» domanda osservandomi nelle mie vesti da chef.

«Nel cassetto, non sapevi di averlo?» chiedo divertito.

«No...e fammi capire, anche cucinare a petto nudo è un tratto della tua personalità?»

«Fà caldo fuori, figuriamoci vicino ai fornelli», rispondo mentre continuo a girare il composto con la frusta.

Non sentivo così tanto caldo, ma se piace l'uomo in cucina, immagino che senza maglia siano punti in più per raggiungere il mio obbiettivo, e forse ci ho preso, perché non riesce a togliermi gli occhi di dosso.

«Okay...che stai cucinando?» farfuglia.

«Pasta!» rispondo fiero.

«Che tipo di pasta? Sai cucinare davvero o stai improvvisando?» chiede in tono dubbioso, incrociando le braccia.

«Ho lavorato come aiuto cuoco per un paio d'estati da ragazzo, mi fa molto male che tu non creda in me».

«Mh, devo fidarmi o mi avveleni?»

«Fidati, aspetta un secondo», dico mentre scolo la pasta e unisco tutti gli ingredienti.

«Non ti facevo un tipo da cucina», afferma, mentre sistema un paio di bicchieri sulla tavola.

«Assaggia, dimmi se ti piace», pulisco le mani con il lembo del grembiule e prendo una piccola forchettata per poi avvicinarla alla sua bocca.

«Mi stai imboccando?» chiede contrariata.

«Dai, muoviti», la incalzo, e finalmente si decide ad assecondarmi. «Com'è?» le domando curioso dell'esito.

«Okay, Cacio e Pepe, non male», scrolla le spalle.

«Non è male?» le metto la mano su un fianco facendole il solletico.

«Fermo», dice con voce stridula. Recepito: soffre il solletico.

«Non è male?» ripeto la domanda e anche il gesto.

«Ti punto ancora la pistola se ci riprovi», mi minaccia cercando di rimanere seria.

«Ammetti che la mia cucina è fantastico e io la pianto», insisto mentre lei indietreggia lentamente.

«Ho detto che non è male, come sei egocentrico», insiste, ma ormai siamo arrivati al divano indietreggiando.

«Ah sì?» dico afferrandola per i fianchi. La blocco sul divano, con una mano tengo i suoi polsi e con l'altra continuo a solleticarla nei punti sensibili.

«FINISCILA!» urla tra una risata e l'altra.

«E tu ammetti che la mia Cacio e Pepe è la migliore che tu abbia mai assaggiato!»

«Nei tuoi sogni!» esclama decisa; e senza darmi il tempo di capire cosa stia succedendo, mi ritrovo sotto di lei.

Entrambi affannati, mi tiene per i polsi, solo un paio di centimetri a separarci.

«Era davvero buona, comunque», dice infine, facendomi sorridere compiaciuto, per poi alzarsi di scatto e lasciarmi con l'amaro in bocca.

Durante la cena non posso fare a meno di guardarla, tutta concentrata, mentre legge i fogli che le ho portato.

«Che c'è?» chiede accorgendosi del mio sguardo posato su di lei.

«Nulla, ripensavo a prima; per curiosità quanto hai preso al test fisico per entrare nei S.S.I.?»

«Nulla di che, il massimo dei voti», spiega soddisfatta.

«Me l'aspettavo, ma voglio la rivincita», rilancio.

«Allora, Edoardo, mettiamo in chiaro un paio di cose: non siamo più colleghi, tanto meno amici. Dobbiamo solo fare questa cosa insieme», specifica con freddezza.

Oh piccola e ingenua Miriana, vediamo se la penserai così ancora a lungo.

«Ho in mente tante cose che potremmo fare insieme però», dico con un filo di voce, mentre prendo un'altra forchetta di pasta, senza distogliere lo sguardo da lei.

«Senti ma che significano questi fogli?» cambia discorso.

«È tutto ciò che ricordavo».

«Sì lo vedo, infatti non sono vere e proprie prove, ma fogli scritti a mano da te, non c'è nulla di ufficiale».

«Ti ho detto che fine hanno fatto quelle ufficiali, è una settimana che mi spremo le meningi per ricordare il più possibile. Cosa ti aspettavi?»

«E a cosa potrebbero mai esserci utili?»

«Uniamo questi con i fascicoli dell'ufficio, e indaghiamo».

«C'è un problema».

«Che problema?»

«C'è un altro vice ispettore, se non lavoro con lui, si insospettirà».

«E chi sarebbe?»

«Andrea Scipione».

«Ahaaa, ma quello lì? Cosa vuoi che sia, è tipo il tuo cagnolino no? Puoi manipolarlo come vuoi, non è mica un problema».

Alle mie parole sbatte improvvisamente il pugno sul tavolo, facendomi andare di traverso l'acqua.

«Andrea è il mio migliore amico, non il mio cagnolino, coglione», mi lancia un'occhiataccia e si alza, togliendo il suo piatto vuoto e soffiandomi il mio da sotto il naso, ancora mezzo pieno.

«Okay, okay, scusa; allora risolvitela tu», mi tiro su anch'io, finendo di sparecchiare ciò che rimane.

«Tranquillo, me la vedo io, ma tu non fare più queste entrate di scena», mi sgrida ancora, cominciando a lavare i piatti con la stessa energia di un gladiatore nel Colosseo.

Meglio che mi allontani prima di perdere le staffe.

«Vado a fumare», annuncio, togliendomi il grembiule e uscendo fuori in balcone.

Poco dopo la vedo arrivare con un paio di tazzine, me ne appoggia una davanti e si siede di fronte a me. La osservo accigliato finché non si decide a parlare.

«Amaro, come piace a te», esordisce.

«È il tuo modo di chiedere scusa?» domando, dopo un attimo di esitazione.

«Mi offri una sigaretta?» cambia argomento.

«Fumi?» mi lascio scappare una mezza risata, ma le allungo il pacchetto.

«Solo quando ho bisogno di pensare», mi rivela mentre armeggia con l'accendino.

Bene, allora, ragioniamo.

«Sai, io invece stavo pensando, per iniziare a capirci qualcosa, potremmo andare a trovare una certa persona in prigione», propongo.

«Chi?»

«Il produttore cinematografico del locale, Sandro Pacelli, è l'unico finito dietro le sbarre per tutta questa storia; l'hanno incastrato, odia Caruso e gli altri, credo che abbiamo tanti punti in comune con lui, a questo punto».

«Ah sì, me lo ricordo, ma ci abbiamo già parlato due anni fa, non è servito a nulla».

«Perché non ci ho parlato io». Spengo la sigaretta nel posacenere.

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