36. Il cuore mio...

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MIRIANA

«Siamo arrivati», annuncia Edo, indicandomi un piccolo ristorante coi tavoli all'aperto, situato proprio a metà del lungomare di Mergellina.

«Finalmente, ho una fame da lupi», aggiungo io, seguendolo.

«Ciruzz!» esclama lui raggiungendo l'uomo all'entrata, impegnato a dare istruzioni ai camerieri, forse è il proprietario.

«Edoà! Sij tu veramente!» risponde entusiasta, per poi abbracciarlo.

«Tagg pur chiamato, c'rè nun c creriv?»

«No, strunz! Ma cumm staj?»

E mentre continuano a parlare in una lingua a me incomprensibile, mi guardo intorno; è davvero un posto carino, ogni tavolo ha un colore diverso che riveste anche le sedie, coperti da grandi ombrelloni piantati a terra.

Noto un uomo seduto da solo, che mi guarda da dietro il menu, ma arriva il cameriere e iniziano a parlare.

Non posso fare a meno di pensare che mi sembra familiare, ha un volto già visto.

«E lei è Miriana», l'udire il mio nome mi riporta alla realtà.

«Piacere signorina, sono Ciro» mi porge la mano, accompagnata da un sorriso amichevole.

«Piacere mio», ricambio.

«Allora nnammurati, vi accompagno al tavolo!» esclama lui, e mentre lo seguiamo lancio un'occhiataccia ad Edoardo.

«Che c'è?» domanda sentendosi osservato.

«Namurati?» cerco di replicare il modo in cui è stato pronunciato.

«L'ha detto lui», alza le mani in sua difesa.

«Ma che significa?» chiedo per avere conferma di ciò che penso.

Edoardo ridacchia alla mia domanda, ma prima che possa rispondere veniamo interrotti.

«Qui ci sono i menù, tra poco vi mando lo scugnizzo, buon pranzo», l'uomo sorride e se ne va, lasciandoci al tavolo azzurro, che subito rapisce la mia attenzione.

«Che vuol dire scugnizzo? Sarebbe il cameriere?» chiedo ancora più confusa.

«Oddio, non sai proprio niente del napoletano», esordisce lui, facendomi innervosire leggermente.

«Perché dovrei saperlo?» ribatto puntigliosa.

«Qui urge un recupero, la prima della classe non ha studiato».

«La smetti?»

«Jamm bell, ti insegno un paio di cose», si stravacca sullo schienale.

«Guarda che lo conosco, ma parlate troppo veloci», mi metto sulla difensiva.

«Ah sì? Allora mentre aspettiamo la pizza, ti dirò delle frasi in italiano e tu me le ripeti in napoletano», incrocia le braccia.

«Ma non...»

«Salve buongiorno, che vi porto?» vengo interrotta dal cameriere, già pronto con il blocchetto delle ordinazioni.

«Non ho ancora guardato il menù mi scusi», dico imbarazzata, per poi aprire il foglio poggiato sul tavolo.

«Nah non c'è bisogno, prendiamo due margherite» annuncia Edo, strappandomi di mano il cartoncino e passandolo al cameriere.

«Molto bene, arrivano subito», se ne va con un sorriso di cortesia.

«Scusa chi ti ha detto che volevo la margherita? La mangio sempre, volevo provare qualcosa di diverso qui».

«Fidati di me, non hai mai mangiato una margherita come si deve».

«Se lo dici tu», alzo gli occhi al cielo e mi appoggio anche io allo schienale della sedia, accavallando le gambe.

«Allora, pronta per la prima frase?» domanda accendendosi una sigaretta.

«Vai», raccolgo la sfida.

«Ciro e Maria sono fidanzati», propone.

«Allora, Ciro diventa Ciruzz, perché ho sentito che chiamavi così il tuo amico prima», inizio a ragionare.

«Sì...» annuisce, ridendo sotto i baffi.

«Quindi: Ciruzz e Maria sono...stann? Vabbè, stann fidanzat».

«Eh no».

«Come no?»

«Noi napoletani abbiamo un modo tutto nostro di descrivere le cose, soprattutto l'amore, quindi se due persone stanno insieme, si dice: fann ammor», mi corregge, mentre appoggia le braccia sul tavolo.

«Fann ammor?» mi avvicino anche io, lasciando che le nostre mani si sfiorino.

«Fann ammor», ripete lui con un filo di voce, tenendo lo sguardo fisso su di me. Sotto il tavolo sento le nostre gambe toccarsi di sfuggita, e contemporaneamente il mio corpo andare a fuoco.

«Be', dinne un'altra», cerco di ricompormi.

«Ora te la dico in napoletano, ascolta bene. O core mio squacquarea p'te», dice con un luccichio negli occhi, che gli avevo visto una sola volta fino ad ora, proprio quella notte in spiaggia.

«Squa cosa?!» esclamo confusa, mentre lui se la ride.

«O core mio...» porta la mano al petto, mentre ripete lentamente la frase.

«Il cuore mio...», ripeto.

«Squacquarea», scandisce ogni sillaba, e non posso fare a meno di notare il suo sguardo poggiato sule mie labbra. O forse me lo sono immaginato.

«E che significa?» mormoro, senza riuscire a collegare davvero il cervello alle parole.

«È una parola di per sé intraducibile, ma vuol dire che il cuore batte forte, fortissimo, quasi sto per avere un infarto!» mi spiega divertito, battendosi velocemente la mano sul petto.

«Quindi vediamo se ho capito bene: il cuore tuo...»

«Ecco a voi!» s'intromette di nuovo il ragazzo di prima, lasciando il nostro ordine sul tavolo.

I nostri sguardi, però, non si smuovono. E Napoli, diventa solo un rumore bianco in sottofondo.







*"Sij tu veramente!"="Sei davvero tu!"

*"Tagg pur chiamato, c'rè nun c creriv?"="Ti ho chiamato, cos'è, non ci credevi?"

*"Jamm bell"="Andiamo, dài"

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