43. Una curiosità spontanea

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MIRIANA

«Buongiorno», Andrea fa il suo ingresso nel mio ufficio con due caffè a portar via tra le mani.

«Oddio, mi hai salvato la mattinata», afferro al volo il bicchiere di plastica e lo butto giù come i cicchetti della sera prima.

«Ieri al locale di Ramona ti sei data da fare», se la ride, mentre sorseggia la sua bevanda.

«Sì, ma è stata colpa di Olivia e Atena, l'ho assecondata nella gara a chi beve di più solo perché era il suo compleanno», ammetto, massaggiandomi la tempia, che non mi dà tregua.

«Che hai anche dimenticato», aggiunge lui.

«Andre, non farmene una croce, non è mai successo in trentacinque anni che mi dimenticassi il suo compleanno, ero solo stanca», mi giustifico. Di certo non posso parlargli di Napoli, anche se vorrei potermi confrontare con lui, raccontargli cosa mi passa per la testa.

«Se lo dici tu. Comunque, quelle due sono proprio una bella coppia, vero?»

«Certo, la vedo felice», concordo, mentre mi risistemo alla mia scrivania.

«Sai chi non vedo felice ultimamente Mì? Tu».

«Io? Sto bene».

«Ti conosco, è da un po' di tempo a questa parte che non sembri più tu, mi dici cosa ti preoccupa?»

Vorrei farlo Andre, non sai quanto vorrei, ma tu arresteresti Edoardo senza neanche ascoltare tutta la storia, anche se ometterei le nostre notti di passione.

«Io...», qualcuno bussa alla porta, facendomi provare un senso di sollievo immediato nel non dover rispondere, non ne posso più di mentire al mio migliore amico.

«Avanti!» mi alzo in piedi.

«Vice ispettore Mancini?» si affaccia Tommaso sull'uscio.

«Buongiorno Tommaso, dimmi».

«Buongiorno, volevo informarla che la Bianchi richiede la sua presenza per accogliere una nuova arrivata. Ah, Vice ispettore Scipione, è qui, perfetto; lei invece è richiesto all'archivio per una revisione», ci informa.

«Certo, quando arriva la nuova?» gli domando.

«Adesso» annuncia uscendo con un sorriso di cortesia.

«Arrivo subito», mi affretto all'uscita, ma Andre mi blocca per il polso.

«Miri, lo sai che ti voglio bene, e puoi contare su di me, vero?»

«Certo che lo so, ti voglio bene anche io», gli sorrido e mi lascia andare.

«Da sempre...» sento alle mie spalle mentre sono sull'uscio. Mi volto verso di lui.

«...e per sempre» continuo la frase. La nostra frase, che abbiamo inventato alle elementari.

«Abbiamo tutta la vita per parlare, Andre» è l'ultima cosa che dico prima di uscire definitivamente, grata della convocazione di Elisabetta.

Cammino velocemente verso l'ufficio del capo, ma prima che possa bussare, lei spalanca la porta, lasciandomi col pugno a mezz'aria.

«Mancini», mi saluta con il suo solito affetto per il genere umano, mentre inizia a camminare.

Ora che ci penso, dopo potrei chiederle quella cosa.

«Elisabetta ascolta, ho degli sviluppi sul caso, dopo vorrei parlartene», cerco di stare al suo passo, come diavolo fa con quel tacco dodici?

«Sarebbe anche ora, visto che sparisci senza fare rapporto da settimane», mi accusa.

«Come?» mi sento presa in contropiede.

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