42. Zio Enzo

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EDOARDO

«Allora, tornerai a trovarci, vero?» mi domanda mamma, in lacrime, tra le mie braccia.

«Mamma...» inizio io in tono seccato.

«Ma certo che lo farà», conclude Miriana al posto mio.

Ha rotto il cazzo.

«Anche tu Miriana ovviamente, speriamo di rivederti presto», mia mamma che corre ad abbracciare la mia finta fidanzata, mai avrei pensato di vederlo.

«Mi raccomando» si avvicina mio padre, lasciandomi una busta da lettere bianca; mi basta sfiorarla per capirne il contenuto.

«No papà», cerco di restituirgliela.

«Prendili, e vedi di non sparire di nuovo così tanto» dice voltandomi le spalle.

«Certo, Raffaello» alzo gli occhi al cielo e mi ritrovo un secondo dopo stritolato in un abbraccio di Nunzia.

«Tu non sei una brutta persona, Edoardo, come invece ti sei imposto di essere. Nella vita a volte bisogna solo capire quando premere sull'acceleratore o sul freno», mi sussurra lei, senza farsi sentire dagli altri.

Ci separiamo dall'abbraccio e la guardo, ha gli occhi lucidi e mi accarezza la guancia, come quando ero piccolo, l'unica differenza è che adesso la supero di almeno venti centimetri.

La ringrazio, solo con lo sguardo, e lei capisce al volo. Poi m'infila qualcosa in tasca, un biglietto credo, meglio aprirlo da solo più tardi.

«Grazie mille dell'ospitalità, è stato un piacere», continua Miriana mentre io sono già praticamente all'ascensore.

«Allora, dove si trova questo zio Enzo?» domanda lei appena saliamo in macchina.

Sbuffo e inizio a guidare in silenzio, otto minuti dopo, spengo l'auto.

«Era qui vicino e tu hai fatto tutte queste storie?»

«Che posso dire, non sono proprio il benvenuto qui», dico mentre scendo dall'auto.

«Allora avevo ragione, hai combinato qualcosa», sentenzia lei, seguendomi.

«Nulla di ciò che pensi, ma sanno chi sono, che lavoravo per Caruso, sanno ogni cosa. Comunque fa parlare me, è meglio».

Saliamo le scale del palazzo, che in confronto quello dei miei sembra da ristrutturare, trovandoci davanti due uomini alti almeno uno e novanta, che sicuramente hanno fatto tanta palestra.

«Chi siete?» domanda il capellone.

Sì che poi fanno ridere perché uno sembra Tarzan e l'altro Bruce Willis.

«Che hai da ridere?» chiede minaccioso Tarzan.

Sì, li ribattezzo così.

«Oh niente, scusate, dovremmo vedere Zio Enzo», rispondo soffocano una risata.

«Vi ha chiesto chi siete», ripete Bruce.

«Edoardo Mariani, Enzo mi conosce», rispondo alzando leggermente il collo per guardarli.

«Non potete entrare», risponde lui.

«Perché no?» domando tranquillo.

«Andate via prima che ti riempio di botte», insiste, ma io di più.

«No», incrocio le braccia.

«Preferisci due proiettili in quella testa di cazzo?» urla Tarzan, poggiando la mano sul fianco, dove ha palesemente la pistola.

«Provaci» rispondo con aria di sfida.

«T scass a capa!» strilla l'amico.

«Ue, ue, che sta succedendo qui?» la porta si apre e un uomo alto e magro fa il suo ingresso tra noi.

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