46. Il buio

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MIRIANA

«Buon Natale!» esclama Andrea appena arrivo in ufficio.

«Buon Natale», rispondo fredda, cercando di abbozzare un sorriso, ma no, non ci riesco.

«Miriana, Atena ed io siamo preoccupati, sono tre mesi che stai così», dice in tono dispiaciuto.

Sono tre mesi che Edoardo non si fa vivo, è diverso.

«È ancora per questo famoso ragazzo segreto che ti ha mollato?» insiste.

«Questa è una vostra teoria, io non ho mai detto nulla», mi difendo.

«Atena dice che prima eri al settimo cielo e ora sembri caduta dalle nuvole, sotto terra».

«Andrea, ti prego, possiamo pensare al lavoro adesso?»

«Ti sei fissata con il lavoro, non esiste solo quello», mi guarda come se stesse cercando di leggermi nel pensiero.

«Sono sempre stata una stacanovista, su questo non puoi dire nulla», incrocio le braccia.

«In questi ultimi mesi, anche troppo», precisa lui, facendomi roteare gli occhi. «Vabbè, ho capito, lascia stare», dice prima di andarsene.

«Dove vai? Dobbiamo lavorare al nuovo caso», gli urlo, facendo voltare tutto l'ufficio.

«Il nuovo caso, è di una settimana fa, e te l'ho già detto: è stata la moglie. Aveva movente e opportunità», sentenzia, mentre si avvicina di nuovo.

«Ma non abbiamo ancora trovato l'arma del delitto», replico.

«Eh sì, nel giorno di Natale, andiamo a cercare l'arma del delitto!» gesticola senza freni.

«L'hai preso sotto gamba quest'omicidio, è sempre il nostro lavoro, tu non puoi...»

«No, Miriana, no. Non venirmi a dire cosa posso o non posso fare! Manca sempre meno alla scadenza per il caso del Club 44 e non abbiamo concluso un cazzo perché tu hai pensato unicamente a te stessa e ai tuoi interessi!»

«Credi che non m'interessi sapere chi ha ucciso mio padre?!»

«È morto anche il mio, di padre!» urla mentre il suo viso si colora di rosso, e le vene nel collo si evidenziano.

«Sei stata un'egoista del cazzo», aggiunge, stavolta sotto voce, a denti stretti, puntandomi un dito contro. Il mio petto si gonfia, facendo su e giù, cerco di non rispondergli, ma la rabbia risale al solo pensiero di questi mesi di ricerche, un patto con un criminale, ho rischiato anche la mia cazzo di vita. Nella mia testa girano mille discorsi che potrei fargli, mille modi in cui potrei metterlo a tacere, ma non posso. Lui non sa.

«Vaffanculo, Andrea», sibilo tra i denti, per poi recuperare le mie cose e andarmene.

«Che succede qui?» sento la voce di Elisabetta, ma non mi volto, è troppo. È troppo.

Esco fuori, sotto la pioggia, ho lasciato l'ombrello su, ma poco me ne importa.

Il respiro si fa sempre più corto, vorrei piangere, invece l'unico modo in cui il mio cervello risponde a questo sovraccarico, è urlare.

Urlo così forte che sovrasto anche il rumore della pioggia battente che avvolge Roma.

Urlo per Andrea e per Atena.

Urlo per mio padre.

Urlo per Edoardo.

Urlo finché i polmoni cedono, facendomi tossire.

L'ultima volta che ho urlato così, è stato quando ho visto il corpo di mio padre senza vita.

Non respiro, non respiro più.

Sono a terra, sento delle voci, ma non capisco di chi. Le gocce che scivolano sul mio viso, mi offuscano la vista, o forse sono le lacrime.
Adesso ho finito l'aria, cala il buio.

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