Bittersweet

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Come regola generale, non mi fidavo della gente conosciuta sulle chat.

E neanche dai siti di incontri. Men che meno, su qualsiasi altra piattaforma sociale. Ero una ragazza prudente e molto informata. Conoscevo buona parte delle leggende metropolitane e delle notizie finite sui giornali. Sapete, quelle che parlano di come le persone vengono adescate da qualche psicopatico sulle chat e poi, convinte ad incontrarsi. Sono storie che si sentono spesso in giro.

Il rischio è sempre in agguato dietro l'angolo. Potresti trovare una persona fantastica con cui ti trovi bene a chattare, in un primo istante. Dopo qualche giorno, cominci ad accorgerti delle prime stranezze. Poi, dopo un paio di settimane realizzi con che tipo di persona hai a che fare. Per quanto mi riguarda, sono una frequentatrice abituale di chat. Più o meno, ho iniziato all'età di quindici anni e, adesso ne ho ventidue. Lo so, voi direste che la vita là fuori è molto più eccitante. Piuttosto che passare le giornate con gli occhi incollati a uno schermo. Non fraintendetemi, ma faccio davvero fatica nel mondo là fuori a trovarmi degli amici. Sono sempre stata molto timida e introversa. A fatica riesco a guardare le persone negli occhi quando mi parlano. Sono anche molto ansiosa e soffro di agorafobia. Il fatto è che, vado nel pallone quando parlo con una persona nuova e mi blocco. Ho cercato su internet il mio disturbo e, il primo risultato che Google mi ha sputato fuori era la "fobia sociale". In effetti, potrebbe corrispondere al mio problema attuale. Non uso le chat per incontrare le persone, ma solo per parlare e passarmi il tempo. Soprattutto, ora che la mia migliore amica mi aveva piantata in asso e, stavo cercando di superare il suo abbandono. Stavo passando un periodo difficile. Tornando al discorso di prima, quando ho affermato che: "come regola generale non mi fidavo delle persone conosciute su internet"; non a caso ho usato l'imperfetto. Perché sto facendo un piccolo strappo per una persona.

Tre mesi fa, ho conosciuto un ragazzo.

Si chiama Nathan e ha diciotto anni. Ha qualche anno in meno, ma è un dettaglio ininfluente. Specie perché da come ragiona e si esprime, potrei dargli qualche anno in più. Sin dall'inizio, abbiamo avuto un sacco di interessi in comune, tra libri, film, videogiochi, fumetti, serie televisive, musica. Parlavamo un sacco.

Parliamo un sacco.

Ogni tanto ci mandiamo anche delle foto. Soprattutto, io gli invio quelle del mio gatto. Sapete, siamo due gattari e lui non avendone, gli ho fatto conoscere Muffino, il mio trovatello soriano. A parte gli interessi comuni, è un amico molto presente e sensibile. Gli ho spiegato anche i miei problemi e, non è una cosa che confido a chiunque. A dirla tutta, solo la mia ex-migliore amica lo sapeva. E dopo il suo abbandono, avevo bisogno di qualcuno che mi capisse. Ci sono state sere che ho pianto al telefono mentre ascoltavo la sua voce che mi consolava. Sere in cui avevamo riso e scherzato fino a tarda notte. Per non parlare dei bisticci in chat per delle frivolezze. O altre volte, quando avevamo passato il tempo a divagare sulle più strampalate teorie fantascientifiche. Ogni giorno era diverso dall'altro, perché non tornavamo mai sugli stessi argomenti. Col passare del tempo ho iniziato a vederlo come l'amico perfetto. So che potrà sembrare sciocco, ma dopo averlo conosciuto, sebbene non fosse fisicamente presente nella mia vita, lo sentivo vicino a me. Ovunque andassi. Sentivo che la mia vita stava cambiando e, soprattutto, che io stavo cambiando. Finalmente, mi sentivo più sicura e meno impacciata.

E così, siamo arrivati a oggi. Abbiamo deciso di incontrarci. Non credo che, in questo caso, la mia "fobia sociale" sarà un limite. Ormai, ci conosciamo bene e non ho motivo di nascondermi. Non con lui.

...

Sono seduto su un vagone del treno, uno di quei nuovi mezzi che raggiungono velocità molto elevate. Il treno mi piace, è sicuro, comodo e porta quasi sempre all'obbiettivo predestinato, seppur con qualche ritardo. Una specie di metafora della vita. Tutti siamo destinati a seguire un certo percorso che termina sempre nello stesso posto, anche se i tempi e i modi per arrivarci sono diversi e variegati. Ma temo di stare divagando. Il motivo per cui sono qui seduto, come ho detto, è che ho una destinazione. E più precisamente si tratta di un paesino nella dolce campagna primaverile, dove avrei incontrato Jessica. Non avrei mai pensato che una ragazza del genere mi avrebbe contattato, né che avrebbe instaurato un legame di amicizia così profondo con me, considerando tutte le mie, chiamiamole "stranezze": gli attacchi d'ansia che mi colpivano spesso anche in chat, le crisi depressive e questo mio carattere curiosamente manipolatore e reticente allo stesso tempo. Ma ho trovato in lei la controparte perfetta. Nonostante le disavventure e le disgrazie che aveva patito era ancora forte, e anche nei momenti più tragici con lei, al telefono o sul computer, notavo chiaramente che non aveva bisogno di uno scoglio, una base solida su cui ricostruire tutta sé stessa (cosa che non sarei mai stato capace di essere), ma una specie di fratello che l'avrebbe guidata e sostenuta in ogni momento, e a cui rivolgere le stesse attenzioni nei momenti di bisogno.

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