1.1. PROLOGO

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                       PROLOGO

6 settembre 1997

Anima: residenza del Popolo Madre

«Disturbo?» il fil di voce fu sin troppo silente per poter essere udito dalle tre anziane che, ingobbite sulla schiena, armeggiavano con filo ed uncinetto. Quella mattina tessevano un lavorato quadrato di tessuto verde smeraldo impreziosito qua e là da delicati ricami di seta dorata.

Luna era troppo distante per poter scorgere le raffigurazioni sul drappo e forse anche un po' troppo lontana perché le tre Parche si fossero potute accorgere di lei. Si guardò attorno con fare circospetto. La stanza spoglia, povera di mobilio, rendeva poco accogliente l'ambiente; nessun soprammobile adornava le mensole, nessun ricordo impresso in foto raccontava gli anni passati, né alcun ninnolo rivelava lo spirito delle anziane Ninfe, era come se la vita delle tre donne non fosse mai esistita.

Luna le osservò attentamente, non era privilegio di tutti poter assistere al loro lavoro e così, interessata, fece scorrere lo sguardo su ognuna di loro; la prima era Clòto, con l'ingenuo sorriso sulle labbra, stava lì a filare il filo donando felicemente la vita. La saggia Làchesi, invece, tesseva i destini degli uomini stabilendone la durata. E in fine c'era Àtropo, l'inesorabile, colei che tagliava il filo dispensando morte.

Prese coraggio e fece un passo avanti. Non era di buon auspicio ricevere un invito da parte delle sorelle, il più delle volte annunciavano disgrazie e nulla di buono accadeva. Certo, le visioni a volte potevano essere ingannevoli, ma raramente quelle tre vecchie si sbagliavano. Da secoli ormai tessevano la vita delle persone e di quelli come lei, difficilmente la gente del suo popolo aveva assistito allo scioglimento della trama per poi vederne tessere un'altra.

Si raschiò la gola attirando l'attenzione della parca seduta al centro, la quale, alzando la testa, le sorrise invitandola a farsi avanti. «Entra pure Luna Della Rosa, ti stavamo aspettando».

Incerta, Luna avanzò. Contò sei passi prima di arrestare la sua marcia.

Quella mattina, il sole aveva deciso di infliggere alla penisola le stesse temperature torride di metà estate e perciò la giovane, per scampare a quel tormento, aveva deciso di indossare una comoda canotta larga e colorata, dalle spalline sottili. Nonostante l'afa, un brivido le fece accapponare la pelle sulle braccia e, anche se solo impercettibilmente, le mani le tremarono; Luna le strinse a pugno lungo i fianchi coll'intento di celare quel segno d'insicurezza.

«Ho incontrato Elias, mentre passeggiavo nei giardini, mi ha informata della vostra chiamata; Làchesi, dimmi pure, non tenermi sulle spine».

Poggiò una mano sul grosso pancione, era agli sgoccioli. Nove mesi trascorsi velocemente, ed ora non stava più nella pelle; impaziente, trepidava dalla gioia di poter abbracciare la sua bambina, il suo angioletto, il suo fagiolino. Fagiolino, era così che la chiamava, fin dal primo giorno in cui vide quel piccolo esserino impresso nelle foto dell'ecografia; aveva pianto di gioia e paura; una paura effimera. Aveva per caso pronosticato qualcosa di terribile?

Clòto e Àtropo, estranee dell'avvicendarsi, continuarono a tenere la testa bassa. Ma l'ultima, all'improvviso, tirò fuori dalla sacca al suo fianco una grossa forbice di metallo nero e tagliò il filo senza indugio.

«No...» la supplica eruppe sofferta. Luna sapeva bene quale significato dare a quel disgraziato gesto.

Questa volta portò entrambe le mani sul ventre. Nessuno le avrebbe fatto del male. Iris, la sua piccola, avrebbe vissuto ad ogni costo; lei, piuttosto, si sarebbe immolata, trafitta da mille frecce pur di difenderla. Qualsiasi malintenzionato sarebbe stato tragico spettatore della sua furia. Certo, le Ninfe erano esseri pacifici, ma Luna sarebbe stata felice di far cambiar idea a chi avesse portato con sé cattive intenzioni.

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