70. STEVAN

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<<Calma, pace, placida quiescenza del vivere.
Argo, fedele compagno, tu calpesti questa terra da troppo poco tempo, ma io... io non lo ricordo più. Lungo è stato il mio pellegrinare fino ad oggi.

L'esistenza... cosa sai dell'esistenza? È un susseguirsi di instanti di quiete e intervalli di burrascosa frenesia. Caos, dolore, tormento.
Io, genero tormento, invento il male.
Flagello di Dio, punitore di anime.
Pensi che ognuno di loro sia privo di peccati? Guardali bene. Osserva i loro sguardi bassi, quei falsi sorrisi a sfregiare i volti distratti... li senti i pensieri? Perversi, peccaminosi, diabolici.
C'è un po' di male in ognuno di loro.
C'è un po' di me in tutti gli esseri umani.
Santi all'esterno e diavoli dentro.

Ho ascoltato le loro suppliche, i loro assurdi piagnistei. Ma quante volte ho accompagnato la sorella morte... genocidi insensati e futili stragi.
Pensi che gli esseri umani meritino la pace? Pensi che siano meritevoli di vivere? Io ne dubito amico mio. Nessuno su questo sporco mondo lo è.

Io sono come loro, ma semplicemente non mi nascondo dietro una maschera... perbenisti del quieto vivere.
Amo uccidere, godo della sofferenza. Mi crogiolo nel peccato, sguazzo nel terrore che urlano i loro occhi.
Non provo pietà né alcun tipo di rimorso.
Ho sbranato pedofili, sgozzato assassini, ucciso drogati, ladri e ogni genere di anima nera. E dubito che i rimorsi mi avrebbero smosso sensi di colpa, anche se solo avessi posseduto un'anima.

Mi fanno schifo... sì, mi ribrezza tanta falsa bontà. Ed ora chi fa il loro ritorno? Gli Elfi, razza bastarda. Emblema dell'ipocrisia abbellita. Chi più di loro cela la verità nell'inganno, il mancato perdono, la sete di potere? Disgustosi folletti dalle orecchie a punta. Anime perverse.
Predicano il bene, ma io so quanto male hanno sotterrato in questo suolo intriso di sangue fraterno.>>

<<Ti riferisci agli antichi racconti celtici? Elfi della luce e fratelli delle tenebre?>>Si azzardò a chiedere l'altro, non avrebbe voluto interrompere quel lungo e assorto monologo, ma la curiosità era una sfaccettatura predominante in lui.

<<Non sono solo racconti. La storia la scrive chi vince, Argo.
Io c'ero. Ho visto chi ha chiuso gli occhi e chi ha nascosto la testa nella sabbia. Guerre di potere, raccontano, ma la verità è tutt'altra.>>

Argo continuò a inoltrarsi in quel mondo lontano. Le parole del suo re lo condussero in luoghi freddi e incantati, nonostante i loro corpi non si mossero di lì; seduti su una panchina di legno immersa nel verde di villa borghese. Un bel giorno, quello, per fare una passeggiata, correre all'aperto o portare in giro il cane.

Il sole scaldava le verdi fronde degli alberi immergendosi fra le foglie e disegnando strane forme geometriche sull'erba più in basso. La tempesta del giorno prima aveva mitigato il clima caldo d'agosto e, malgrado l'orario pomeridiano, l'ombra delle rigogliose querce donava sollievo ai visitatori di quel paradiso naturale.

Come quasi sempre, in quell'ultimo periodo, Stevan era di cattivo umore; odiava attendere, la pazienza non faceva di certo per lui.
La situazione creatasi, oltretutto, rendeva l'attesa esasperante. Detestava il Popolo Elfico e, solo dopo il lungo racconto, Argo riuscì a capire il perché. Conosceva molto del suo padrone, ma evidentemente non abbastanza. Stevan era un labirinto di ricordi e pensieri, e il suo modo d'agire un intricato groviglio di ripicche e piaceri.

<<E dunque, cosa pensi di fare con quei bambocci? Sono forti, molto più dei Templari, ma se architettiamo un piano decente e mandiamo all'attacco i più...>>
<<Non faremo assolutamente nulla>> Stevan lo interruppe <<che stiano pure in sordina. Noi sappiamo della loro presenza, ma dubito che Alessandro sia stato già messo al corrente. Che questa sia la volta buona per togliercelo finalmente dalle scatole?>> Rimuginò pensieroso. Conosceva fin troppo bene il suo avversario e perciò riconobbe l'assurdità di ciò che era stato detto, non appena le parole risuonarono nei suoi pensieri. Impossibile liberarsi così facilmente di Lui; così come loro stessi avevano agganci nei circoli ristretti dei Templari, così l'odioso Oscuro doveva averne degli altri.

<<Comunque,>> si sgranchì le gambe e la schiena. Argo lo seguì alzandosi, era molto più basso di lui, gli arrivava a malapena sotto la spalla. <<Comunque potremmo trovare dell'utile in questa rinnovata alleanza. D'altronde è quello che facciamo sempre, no?>> Poi lo fissò come se fosse la prima volta che lo vedeva, <<e finiscila di vestirti in questo modo. Attiri troppa attenzione. Sei un facile bersaglio, proprio come quella volta, quando ti hanno beccato i due fratelli Bennet.>>

Argo sogghignò divertito, sapeva, che un impermeabile ed un cappello con tesa larga, stonavano parecchio in quei giorni d'estate, ma il desiderio di farsi notare lo spingeva ad acconciarsi in quel modo, nonostante sapesse di risultare strano e anche tanto ridicolo. <<Mio sire, lo sapete quanto mi diverto ad attirare sguardi curiosi.
A proposito, geniale l'idea delle lettere e dei numeri. Dici che qualcuno scoprirà mai il significato del codice?>>

<<Ne dubito. Sono un branco di idioti. Io continuo a divertirmi nel frattempo. Dovrò pur fare qualcosa che mi distragga da questa monotona routine. E poi, prima o poi, dovevo iniziare ad avere contatti con la piccola ninfa. Mi diverte scoprire quale emozione attraverserà la sua faccia ad ogni nuovo messaggio. Penso che già mi odi>> ridacchiò divertito, <<e mi odierà ancora di più quando porterò a termine il mio piano. Ancora un anno... cosa vuoi che sia per me un anno?
Le toglierò così tanto che, alla fine, non potrà che darmi tutto ciò che le rimane.>>

<<Ancora non hai deciso chi dei due sarà il fortunato?>>
<<Ancora no, ma sto iniziando a farmi un'idea.>>
Le labbra si incurvarono in un malvagio ghigno diabolico. Niente e nessuno avrebbe ostacolato il suo obiettivo, obiettivo dal quale dipendeva la sua stessa esistenza.
La strana coppia si incamminò lungo il sentiero in penombra e una ambigua scia ghiacciata li seguì per diversi metri. Nessun normale osò ripercorrere quelle sinistre orme per lungo tempo. Il male era tra loro, la paura guizzava e stonava con la gaiezza del giorno.

"Ancora un anno mia regina. E finalmente sarai solo mia."

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