1.3. IRIS

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La nascita

Luna stringeva forte la pelliccia dell'inseparabile amico. Correvano insieme già da molto tempo. Lei in groppa al destriero dalle zanne lunghe e potenti, lui veloce come un fulmine nero. Dietro di loro, una dozzina di altri lupi dal manto bruno e grigiastro tenevano il passo ululando alla luna; mancavano poche ore e poi l'avrebbero vista illuminare piena il cielo notturno del primo autunno.

Luna non scorgeva ormai più le luci serene dell'amata casa. Troppo distante dalla sua terra, quella notte, non avrebbe udito impotente le urla strazianti del suo popolo mentre veniva decimato senza pietà.

Le doglie avevano iniziato a tormentarla già dalle prime ore del mattino, ma ancor più terribile, fu per lei, il dover celare quel supplizio. All'apice del dolore aveva richiamato le sue bestie e, come ordinato dalle Parche, abbandonato il suo popolo e il suo vero amore. A quest'ultimo poté lasciargli solo un sussurrato bacio ed un ultimo doloroso e insopportabile sguardo.

Lui non sapeva, non conosceva la verità. Come avrebbe potuto sapere che Iris era anche figlia sua? Lei non gliel'aveva detto. Non l'aveva potuto fare, e ora che il destino li aveva separati, la morte non li avrebbe di certo riuniti.

I lupi smisero di correre, trottarono ansanti raggiungendo una grossa quercia dai lunghi rami a sfiorare la nuda terra. Il loro compito era terminato, ora ci avrebbe pensato la natura a fare il resto.

Esausta e allo stremo delle forze, la Ninfa si diresse carponi verso il grande tronco liscio e quando la schiena urtò la corteccia, le radici scossero la terra emergendo dalle profondità. S'intrecciarono fra loro e quel letto di rami e soffice muschio fresco fece da morbido giaciglio alla giovane madre. Con determinata forza trattenne le urla, ma esausta, si lasciò andare ad un pianto disperato. Non era tanto il dolore fisico quello che più straziava l'anima, almeno non quanto la pena che albergava nel cuore, fu difatti questa a indurla alla tormentata follia. Quella stessa pena, ne era certa, l'avrebbe uccisa ancor prima di mani nemiche.

L'albero issò la donna verso braccia verdi e i rami si protesero in avanti formando una fitta cupola di foglie e ramoscelli. Ai piedi della grande quercia, il nervosismo dei lupi accompagnò gli sforzi dell'amata padrona tra ululati e guaiti.

E quando la compagna del sole raggiunse la massima luminescenza, la natura risplendette d'argento e la pelle di luna, imperlata di sudore, brillò madida di strazio. In un crescendo di urla ed ululati, fu infine un flebile vagito a riportare la silenziosa pace. Il fiore della speranza era finalmente nato. I rami come mani benefiche si allungarono, attorcigliandosi tra loro fino a formare un lavorato lenzuolo di linfa e, delicatamente, accompagnarono la piccola creatura al seno materno; dolce conca di immenso amore.

«Oh, mia piccola, mia dolce, mio amore più grande... Iris... che faccino delicato. Sei bellissima angelo mio, tutta tuo padre... spero se ne accorga, quel babbeo, quando vedrà tanto splendore» sorrise malinconicamente tra le lacrime. Aveva trovato la gioia più grande e presto se ne sarebbe dovuta separare. La vita le aveva voltato le spalle e, la stessa sadica, avrebbe continuato mostrandosi ingiusta e bastarda fino alla fine.

La piccola fu avvolta nell'arazzo color smeraldo, lo stesso che giorni prima aveva preannunciato il disgraziato destino di sua madre. Il drappo raffigurava le scene salienti della vita di Luna. Persino la nascita di Iris e la morte della donna erano state narrate dalle crudeli mani delle tre Parche.

Pianse in silenzio cullando il suo prezioso fagotto.

Ma troppo lesto fu lo scorrere del tempo e, quando giunse il momento, lo capì. Il vento gelido galoppò fino a lei. Quel soffio freddo voracemente sbranò la terra portando con sé il presagio di morte. Luna adagiò la mano sulla calda corteccia e la natura comprese; questa spinse le braccia nodose fino a raggiungere il basso.

«Mio caro Alfa, avvicinati».

Il grosso lupo nero si fece avanti. Fin da sempre il fidato animale l'aveva accompagnata nel corso della vita tenendola al sicuro, allo stesso modo avrebbe portato in salvo sua figlia. Legò il piccolo fagotto sulla calda groppa pelosa, annodando con maniacale precisione le stringhe della piccola sella.

«Malia, aiutami».

Una lupa dal manto grigiastro trottò sino a lei. Era la più grossa e possente subito dopo Alfa, l'unica che allo stesso tempo avrebbe sorretto il suo peso e corso ad un'andatura adeguata.

Ma il silenzio della notte accompagnò solo per breve tratto la disperata fuga. Il freddo incalzante divenne sempre più pungente. La profezia si sarebbe avverata la notte stessa.

Che atroce e amaro boccone da mandar giù, nemmeno una notte avrebbero potuto trascorrere assieme.

Con un fischio fermò il branco; Alfa era il doppio più veloce rispetto tutti gli altri, con molta probabilità lui sarebbe riuscito a scappare.

«Certo che ce la farà, le Parche me l'hanno garantito. Iris vivrà» ragionò ad alta voce, con ferma determinazione. «Malia, segui Alfa e bada alla mia piccola. Prenditene cura come se fosse tua. Sfamala se ne avrà bisogno e poi domani mattina recatevi dalla mia amica. Lei è una Templare, saprà prendersi cura di Iris».

La lupa guaì nervosa schiacciando le orecchie sul capo; non aveva intenzione di lasciare la sua padrona, né di recarsi da una Templare. I lupi si fidavano solo di lei e di nessun altro.

«Malia!» l'ammonì «non è il momento di fare storie... ora andate, è un ordine!» tuonò alla fine.

Le fidate bestie partirono al galoppo senza più voltarsi e, con la malinconia a velare gli occhi, Luna li seguì fino a quando divennero solo dei punti indistinti e si persero nell'oscurità della notte.

Il cuore, colmo d'angoscia, si lacerò in una lenta agonia.

I lupi ringhiarono, ora era perfettamente percepibile il sopraggiungere del gelo.

L'ultima cosa che le iridi di smeraldo videro, fu la faccia triangolare di un mostro mastodontico dalle ali frastagliate e dalla grigia pelle decorata di scaglie appuntite. Sulla testa, corna ricurve di un blu avio svettavano minacciose. Se non avesse incusso tanto timore, la bestia sarebbe potuto apparire addirittura affascinante, ma non fu così per Luna e quegli occhi di ghiaccio la impietrirono. Tuttavia lo smarrimento durò poco. Malgrado i dolori, la stanchezza e la paura, la rabbia la invase; la fanciulla afferrò una radice nodosa e questa, mescolandosi alla roccia e all'energia scaturita dal tocco della Ninfa, si trasformò in una lama dura più dell'acciaio. Anche le Ninfe vantavano doti nascoste; seppur miti creature, all'occorrenza, sapevano sfoderare la forza di impavidi guerrieri.

E così Luna lo affrontò con un ghigno selvaggio. Asciugò le lacrime ai bordi degli occhi e si guardò attorno. I suoi lupi erano pronti. Digrignarono i denti e con un balzo tutti assieme attaccarono.

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