39.2. PRIGIONIA DELIZIOSA 2

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La voce implorante di lui non le lasciò tregua. Non l'aveva mai sentito parlare a quel modo, elemosinare avvilito un po' d'affetto. Quel lamento disperato lo rendeva più umano e lei (vergognandosene) pensò che avrebbe potuto provare anche qualcosa di più, che solo antipatia, se solo fosse stato sempre così disposto a mostrare il suo vero essere; rivelare pure quel lato debole, quelle preziose sfaccettature dell'animo che cercava di nascondere a tutti e in tutti i modi, ma che fin dal principio, lei sapeva esistevano, anche se ben celate nelle profondità di quel corpo perfetto, censurate da una corazza di impertinente arroganza e ottuso menefreghismo.

«Non mi abbandonare, fa troppo male qui...» batté il pugno sul petto. «Ho bisogno di te... voglio te».

La giovane sussultò sul posto sentendo quelle parole. Avvertì una cocente vergogna imporporarle la faccia, malgrado non fosse stata lei a parlare. Spaventata e pure lusingata, si dondolò sul posto profondamente confusa. Non era più molto propensa nell'avvicinarsi. Deglutì nervosa e poi fece scivolare lo sguardo prima sul viso bello e perfetto del Templare, poi sul petto coperto solo da bende e infine sulle coperte bianche che coprivano il corpo quasi del tutto denudato dalla vita in giù. Spaurita, si guardò indietro, sospinta dal desiderio di scappare, ma ancora di più, a sconvolgerla fu la parte predominante del suo "Io" più nascosto, la stessa che in quel momento la spingeva verso il Templare.

Cosa stava facendo? Ormai era troppo tardi per rispondere. Un'incontrastabile forza invisibile le fece compiere quei passi; la voglia di avvicinarsi e sfiorarlo era stata più convincente della paura. E sebbene coesistesse in lei la parte razionale, quella offesa e intelligente che la scongiurava di fare retrofronte e scappare, quest'ultima fu troppo debole e ritardata.

«Cristian io non volevo disubbidire... sì, insomma forse lo volevo, ma non pensavo potesse succedere questo... a te...»

L'avvolse con un braccio afferrandola per la vita e Megan, senza accorgersene, si ritrovò distesa accanto al corpo duro di lui. La Ninfa si lasciò andare ad un gridolino soffocato. Tremolante e tesa, come un pesce in lotta nei suoi ultimi istanti di vita, rimase immobile trattenendo lo scarso ossigeno nei polmoni. Percepiva ogni curva di quel corpo tonico premere senza pudore sulla propria pelle nuda; prima di lasciare la camera aveva dato poco peso all'abbigliamento e ora, seppur la lunga maglia le copriva le cosce, si pentiva amaramente di non aver indossato un pantalone.

«Allora è vero, sei tu...» farfugliò Cristian, indugiando con la mano sul viso di lei che deglutì quando il braccio la la cinse stretta per la vita imprigionandola senza darle scampo, poi il giovane affondò il naso nei morbidi capelli inspirandone il profumo di vaniglia e quindi, come d'incanto, si addormentò. Il respiro rallentò; Megan sentiva il petto gonfiarsi lento e regolare dietro la schiena.

Erano incastrati alla perfezione, in quello che sarebbe potuto somigliare un gheriglio di noce, anche se i corpi apparivano poco simmetrici, poiché i piedi di lei arrivavano a malapena a metà tra il ginocchio e le caviglie delle lunghe gambe di lui.

Brividi intensi la inondarono procurandole un tremore caldo alla bocca dello stomaco, minacciando d'ardere l'intero corpo; se non si fosse spostata immediatamente da lì, avrebbe finito inevitabilmente per incendiarsi.

"Mio Dio, che vergogna. Non Posso. È ingiusto e inaccettabile". Scioccata dall'eccessiva reazione del proprio corpo, afferrò la larga mano decisa di alzarla, ma il braccio pesava più di quanto immaginava, così, ci dovette mettere tutta la forza per riuscire a sollevarlo completamente.

Fu del tutto inutile.

Scosso da un incubo, Cristian riabbassò l'arto tirandola ancora più a sé, rendendo così vano ogni tentativo di fuga. Lanciò un'occhiata alla porta pregando tutti i santi del paradiso che Jack non arrivasse, che continuasse a dormire nella sua scomoda e improbabile posizione. Il sudore le imperlò la fronte; stava patendo una pena deliziosa e crudele. A poco a poco si lasciò invadere dalla pienezza di quella sensazione, contò i battiti del cuore di lui che batteva a un quarto del ritmo del suo. Inspirò, e un profumo intenso di muschio bagnato, di mandorle fresche e di mascolinità la conquistò rendendola ancor più disperata e impotente. A ogni tentativo di fuga lui la stringeva più forte, come se lei fosse appesa ad un cappio e la stretta si intensificasse ad ogni movimento, togliendole il fiato. Proprio come nelle sabbie mobili s'impose di rimanere ferma per non affondare; pena, altrimenti, una morte lente.

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