38.1 STASI

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«Jack! Una telefonata urgente per te». Un ragazzo dalla carnagione scura passò il telefono al guidatore.

L'auto bianca passeggiava senza fretta sul litorale Ostiense, in lontananza il cielo degradava in tonalità sempre più chiare del blu notte fino a raggiungere la cucitura col mare sporcata da crepuscolari sfumature rosa. Era una sera tranquilla, di quelle che preannunciano una mattinata calda e soleggiata.

I due avevano il compito di setacciare da cima a fondo quel lato della costa. Una soffiata anonima aveva garantito la presenza di un covo di Oscuri nella zona e, malgrado l'inattendibilità dell'anonimato, erano poche, anzi rarissime, le persone a conoscenza di quel losco mondo. Se i due non avessero trovato il nascondiglio, sicuramente si sarebbero imbattuti in un'imboscata; in entrambi i casi erano pronti. Nascoste ad ogni angolo della città marittima, una dozzina di auto targate con sigla del Vaticano, e al pieno di Templari, erano pronte ad entrare in azione non appena fosse scattato il segnale.

Le ciocche bionde svolazzavano leggere animate dalle selvagge raffiche di vento caldo dall'odore salmastro che penetrava dalla stretta fessura del finestrino. Jack non badò ad affiancare l'auto al marciapiede, afferrò con impeto il cellulare e, con stupore, fissò lo schermo illuminato.

"Capitano Amato", lesse.

Non appena la cornetta sfiorò l'orecchio, una voce fredda lo congelò.

«Torna subito a casa! Si tratta di Megan».

Non ebbe il tempo di fare domande, Cristian aveva riattaccato troppo presto; il Templare era stato breve e conciso, ma terribilmente cruento.

«Scendi!» intimò Jack al compagno; quest'ultimo, esitante, riprese l'apparecchio elettronico prima di eseguire gli ordini del suo superiore.

A quel punto, Jack, fece retromarcia e sfrecciò come un pazzo sulla strada del ritorno. Salì le scale di casa con un paio di salti; l'adrenalina dettata dal panico lo rendeva estremamente agile e poco lucido. Non sapeva esattamente cos'era successo, ma se quel qualcosa aveva spinto Cristian a chiamarlo, allora non poteva che trattarsi di un evento grave. Per tutto il tragitto fino alla stanza di lei, Jack non fece che ripetere le stesse suppliche rivolte al suo Dio: «ti prego, fa che non sia morta. Ti scongiuro, fa che io possa dirle quanto la ami...»

Dalla porta aperta provenivano urla disumane. E Jack le riconobbe, erano di Megan.

Ad occhi socchiusi, la Ninfa si dimenava sul groviglio di coperte chiazzate di rosso; e così come noti pesanti disturbano la sinfonia di una ballata, allo stesso modo quelle macchie di sangue oltraggiavano il candore del bianco pulito.

Al suo fianco, Cristian, tentava di tenerla ferma limitando la forza della presa per non farle altro male.

Jack rimase imbambolato di fronte alla scena. La sua Megan non era morta, ma dalle urla strazianti non si poteva esser certi non lo sarebbe stata nel giro di poche ore, minuti forse.

«Cosa fai lì imbambolato? Aiutami imbecille! Curius sta arrivando. Tu va a prendere dell'acqua fredda per degli impacchi, ha la febbre altissima».

Il cuore batteva forte riempiendosi d'angoscia ad ogni urlo di dolore di lei; gli sarebbe scoppiato nel petto quello stesso giorno, Jack ne era certo, lo sentiva già cedere ad ogni battito in tante larghe crepe. Con sguardo smunto continuò a fissare le macabre scie di sangue sul pavimento e le larghe chiazze sul letto.

«È mio il sangue, babbeo!» sbraitò spazientito Cristian, accorgendosi delle occhiate alienate dell'altro.

Ridestandosi dallo shock, Jack notò i larghi squarci sul petto dell'altro, le ferite erano profonde e il sangue colava copioso. E ciò gli bastò. Sapere che quel liquido denso non fosse di lei lo fece rianimare; così scattò seguendo diligentemente gli ordini del suo Capitano. Da lì a pochi istanti dopo, giunse Curius e Jack poté ascoltare per la prima volta l'intero racconto e la dinamica dei fatti. Un'angosciante morsa d'acciaio strinse, stritolandogli lo stomaco, quando Cristian accennò al morso del serpente corallo. Sapeva che il veleno di quell'essere era letale, soprattutto per una quasi Ninfa come Megan. E in ansia, continuò a torturarsi il labbro fino a sfregiarlo.

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