23. LA SEDE

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All'improvviso, uno stretto varco si materializzò sul pavimento; come un ponte levatoio sottosopra, un intero rettangolo di pietra si alzò lasciando che l'auto sgusciasse all'interno, inghiottendo i passeggeri nel buio più totale. Megan, spaventata, trattenne il respiro mentre il mezzo scendeva veloce. In lontananza un flebile bagliore indicava la fine del tunnel. E così come la luce andò allargandosi, anche le pareti intorno si allontanarono, finendo per formare un vasto spiazzo nel quale decine e decine di auto erano parcheggiate in maniera maniacale. Quello doveva essere il parcheggio della Sede, pensò Megan. Un uomo elegantissimo nel suo completo: giacca e cravatta nera e cappello rigido, fece segno a Bruce di dirigersi verso destra, dove infatti trovarono un posto tra una Mercedes blu notte ed una BMW X6 grigio topo.

«Sei pronta?» le chiese Jack impaziente.

«Pronta per cosa?» Il sesto senso la mise in allerta; c'erano troppe automobili parcheggiate lì. Disperata scoprì che, oltre quella pesante porta in legno massiccio colorata di verde scuro e ornata da fregi intagliati a mano, l'attendeva quasi l'intero corpo dei Templari, riunitosi in quell'occasione con l'unico scopo di fare la sua conoscenza.

Guardò verso il basso, facendo scorrere le pupille dilatate dal panico prima sulla larga tuta blu sintetica e poi sulle scarpe vecchie e un po' malandate. Ingoiò in un sol boccone quella sensazione d'inadeguatezza.

Perché non l'avevano avvisata? Certo, non avrebbe indossato un tailleur e tacchi a spillo, ma almeno si sarebbe pettinata i capelli; ora invece, spuntavano come fili d'alga su tutto il capo. Si rifece velocemente la coda aiutandosi con le dita, che frenetiche pettinarono quella folta capigliatura disordinata; si passò le mani sulla t-shirt, scorgendo una macchia di marmellata chiara, proprio lì, al centro della pancia.

"Maledetto cornetto e maledetto te, Jack, per avermi costretta ad assaggiarlo" imprecò. Poi ad alta voce chiese: «ma non dovevamo passare prima da casa? E poi pensavo che solo voi sareste scesi per un veloce saluto».

Il motore era fermo e Jack era già sceso, si sgranchiva le gambe; sembrava avesse dovuto correre una maratona. I coniugi Bennet, invece, indaffarati con gli ultimi rituali, diedero poca importanza alla giovane, rispondendole con superficialità: «stai tranquilla, siamo gente semplice noi Templari. Vedrai, sapranno accoglierti con calore».

Non era di loro che si preoccupava, ma del suo aspetto. Con tutta se stessa desiderò poter aver accanto Jessica, la maniaca del controllo; senza dubbio, lei, avrebbe saputo cosa fare e trovato un modo per farla apparire carina ed adeguata anche con quella tuta. Si trattenne sul sedile fino all'ultimo, ma in seguito, non poté fare altro che seguire i tre.

Sfilarono accanto al signore di prima, salutandolo per nome. Ambrogio scrutò con curiosità la ragazza muoversi all'ombra dei Bennet. Anche lei lo salutò timida, l'uomo ricambiò con un energico inchino ed un sorriso.

Malgrado l'eccessivo caldo, si chiuse la zip del pezzo di sopra della tuta.

Una lunga e larga scritta, lavorata interamente in ferro bronzato, spiccava con rigore in cima ai battenti d'ingresso. L'urlo di potere delle parole che li accolse recitava: Pauperes commilitones Christi templique Salomonis. Megan si ritrovò a tradurre quella frase nel suo latino arrugginito, ma ci pensò Jack a saziare la sete di conoscenza: «vuol dire: poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone. È un motto che identifica il nostro ordine. Sono sempre stato bravo in latino, forse l'unica materia in cui me la cavavo. D'altronde ero obbligato a studiarla sia qui che a scuola, come avrei potuto non esserlo?» Le strizzò un occhio soddisfatto.

Quando si spalancarono le porte, il legno scricchiolò sui cardini d'ottone e lei rimase senza fiato. Altro che gente semplice quei Templari. Se gli uomini sfoggiavano smoking impeccabili, le donne vestivano di tutto punto; raffinati ed eleganti, reggevano dei flûte riempiti per metà da un liquido chiaro e bollicinoso. Assomigliava ad una di quelle serate di beneficenza, nelle quali i ricchi bei rampolli e le regine di tutto il mondo, si riunivano per donare un po' del loro prezioso tempo e del loro eccessivo denaro ai tristi orfanelli sfortunati. In quell'occasione, Megan percepì l'angosciante sensazione di essere lei la sciagurata orfana.

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