35.1 IN GIRO PER ROMA

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«Sveglia!»

Un bruco dai mille colori e dalle affascinanti sfumature d'arcobaleno stava lentamente scivolando su una gigantesca foglia di fico rosa. Tutto intorno esplodeva in dimensioni spropositate, o forse lei era solo più piccola di quanto ricordasse? Non ne aveva idea, ma i suoi sensi non avvertivano paura, anzi la pace in quel bosco era estasiante.

Il calmo fruscio dell'erba azzurra profumava di fragole selvatiche e il suono del vento correva tra gli alberi giungendo ovattato e rassicurante. Alla sua sinistra, lo scorrere del fiume dalle acque gialle infondeva serenità e, Megan, in pace con se stessa e il mondo intero, ci immerse una mano; un'ammaliante sensazione si impadronì di lei.

«Dai, forza, dormigliona, svegliati!»

Un lampo lacerò per un attimo quella calma paradisiaca e Megan portò le mani alle orecchie tentando di smorzare il rumore fastidioso.

"Ancora questa voce, che fastidio". «Perché bruchino mi urli in questo modo?» gli chiese.

Si avvicinò alla buffa bestiola accarezzandole il capo; l'animaletto, in compenso, vibrò interpretando una simpatica danza muovendo a ritmo le innumerevoli zampette calzanti simpatiche infradito dorate.

All'improvviso il paesaggio venne risucchiato in un buco nero ed il cielo e la terra, come fossero fatti di cartapesta, finirono per accartocciarsi nell'oscurità. Per qualche secondo rimase nelle tenebre, immobile e spaurita; poi, man mano che il vortice del buio finiva di girare, una luce chiara andò allargandosi.

Un'ombra indistinta le si parò dinanzi. Strizzò gli occhi dolorante. All'inizio erano solo neri contorni sfocati; stava ancora sognando? E il suo bel bruco dov'era?

Quando la vista finalmente mise a fuoco, l'adrenalina del momento la costrinse a svegliarsi all'istante. A meno di dieci centimetri dalla propria faccia c'era il bel volto di un ragazzo dai capelli color petrolio e dagli occhi neri come le tenebre appena visitate. Stava sorridendo e quei denti bianchi risaltarono superbamente in contrasto col rosso acceso delle morbide labbra. Rimasero così, a fissarsi per qualche secondo. Lui seduto sul letto le sorrideva allegro, lei a pancia in alto lo squadrava perplessa.

Quando finalmente il cervello si ricollegò alla vista, lo riconobbe e urlò infervorata.

«Per diamine, Cristian! Che ci fai in camera mia di prima mattina? Vattene!»

Il Templare si alzò portando le mani in aria in senso di resa e, divertito, sghignazzò mentre, raggiungendo la portafinestra, spalancò le tende.

«Prima mattina? Questa mi è nuova... te la prendevi comoda in quel della Puglia, fiorellino».

Megan fece scorrere lo sguardo sul proprio corpo; la canotta del pigiama era risalita fin sotto al seno lasciandole scoperta la pancia, fissò le gambe nude e le coperte buttate sul pavimento; le raccolse in fretta tirandosele fin sotto al mento a mo' di scudo.

Il ragazzo se la spassò di gusto nell'osservarla.

«Oh ma insomma, pensi che nella vita non abbia mai visto due gambette e un ombelico? Ora forza alzati, abbiamo da fare» ordinò il Templare.

«Io non vengo da nessuna parte con te» rispose seccata.

Cristian si avvicinò tornando a sedere sul bordo del letto, mentre lei indietreggiò intimorita; quello sguardo suggeriva minaccia e non augurava nulla di buono.

«Vuoi che ti costringa con la forza? Sai, non è piacevole testare una doccia ghiacciata di prima mattina... e io ne so qualcosa» fece eco alla notte del loro primo incontro. Poi con voce appena sussurrata le si avvicinò all'orecchio e Megan trattenne il respiro. «In realtà sono le undici, ma tu non dirlo alla bella addormentata. Chissà come potrebbe prenderla. Magari diventa più acida, e noi non vogliamo che il fiorellino s'inacidisca ancor più di quanto già non lo sia, non è vero?»

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