1. Jasper Smith è un nome normale

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Su questo non ci piove. Cosa c'è di più comune del cognome Smith? Solamente chiamarsi "Johnson" sarebbe stato più ordinario e banale. Tuttavia, il vero nodo ossimorico della questione è che Jasper Smith era assolutamente un ragazzo non normale. Lo era, fin nel profondo del suo DNA, ma come tutte le persone che non sanno guardarsi nel DNA (che sono parecchie, ve l'assicuro) non sapeva di essere non normale. Sarebbe come chiedere a un pazzo se è pazzo. Ovviamente vi risponderebbe di no, per lui il mondo è sempre stato fatto così, e non c'è nulla che voi possiate fare per convincerlo del contrario. Tuttavia questa storia non parlerà di gente pazza, quindi lasciamo da parte i pensieri contorti e passiamo a considerazioni di ben più semplice natura.

Con occhi spenti Jasper guardò i fanali della macchina di sua madre spegnersi nel vialetto di fianco a casa loro, seguiti da un rumore meccanico di portiere aperte, un armeggiare di borse di carta e un chiacchiericcio femminile. Larissa Smith era sempre stata una signora dai corti capelli scuri, acconciati come meglio capitava nonostante l'ormai quarantina di anni che avrebbe dovuto guidarla verso più sobrie destinazioni di arte parrucchiera. Aveva sì quarant'anni ormai, tuttavia si intestardiva a voler indossare le scarpe aperte in pieno inverno, a guardare serie TV datate fino a notte fonda... tutte quelle cose che le mamme non dovrebbero fare, si suppone. Jasper non sapeva cosa o meno le mamme di solito facessero. La sua aveva sempre fatto così, e la nonna, quella buon'anima di Mathilda Ubbsburg, sosteneva fosse stato per un trauma giovanile riguardo al timore di diventare vecchia. I pensieri di Mathilda non erano mai stati chiari o comprensibili, quindi era probabile che il piccolo mostriciattolo avesse risposto a questa frase criptica masticando a bocca aperta una manciata di cheetos.

Accanto a Larissa comparve, scesa dal posto del passeggero, una donna con lunghissimi capelli castani intrecciati in una treccia molto sofisticata, che faceva assolutamente a cazzotti con il pile da montagna indossato come fosse l'ultimo completo di Armani.

La strana coppia di donne si divise pochi passi più avanti. Una andò a destra, una a sinistra, ma entrambe, aperte le rispettive porte di casa si trovarono davanti la stessa scena. Il rispettivo figlio ad aspettarle con uno sguardo poco simpatico, qualche sbucciatura e dei lividi in viso.

"Jasper, tesoro... aiutami con la spesa."

Jasper silenziosamente andò a prendere la busta più accessibile per poi appoggiarla sul tavolo della cucina.

"Come mai così silenzioso? Successo qualcosa?"

"Il solito."

"Se il solito significa che ti sei picchiato con Gabriel, allora è successo qualcosa."

"Allora il solito."

Larissa sospirò pesantemente. Voleva bene con tutta la sua anima al suo ragazzo, ma non si spiegava il suo comportamento. Gabriel era il figlio di Marion, la donna dalla bellissima treccia e dall'orribile pile di poco sopra, un ragazzo di buon cuore, biondo con dei dolci occhi azzurri. Jasper non lo tollerava. Vi era una specie di inimicizia viscerale tra i due, una rivalità senza regole che andava da come ci si allacciava le scarpe alla scuola.

Già... la scuola. Pure durante le lezioni a Jasper toccava sorbirsi la perfezione di Gabriel. Come a Gabriel toccava sorbirsi l'ingiustificata cattiveria di Jasper. Non era la prima volta che si picchiavano, e ormai entrambe le donne si erano fatte una ragione del fatto che mai e poi mai i loro due ragazzi sarebbero andati d'accordo come loro erano migliori amiche. Entrambe abbandonate dai rispettivi uomini in giovane età, si erano trasferite vicine da circa quattro anni. Affrontavano assieme ogni tipo di problema, compresi i figli ribelli.

"E sentiamo... perché vi sareste picchiati?"

"Gabriel continuava a fissarmi mentre scambiavo le figurine in cortile."

"Ti fissava... e tu l'hai picchiato?"

Jasper annuì, senza mostrare il minimo senso di colpa negli occhi scuri. La mamma lo abbracciò come si fa coi bambini piccoli, non coi quattordicenni arrabbiati, ma il ragazzo non si scostò.

"Perché sei così rabbioso, piccolo mio?"

Ovviamente questa domanda non ebbe risposta.

"Domani a scuola gli chiederai scusa. Non penso che sia il caso di farvi incontrare ora."

"Domani non devo andare a scuola. Mi hanno sospeso."

"Allora domani ne parleremo meglio assieme. Sono molto stanca, Jas... che ne dici di finire i compiti di recupero, così poi mangiamo?"

Jasper annuì a andò a piazzarsi di nuovo sul divano in soggiorno con un libro da leggere. Gli occhi danzarono sulle lettere a vuoto per almeno quaranta minuti prima che la madre lo chiamasse di nuovo in cucina.

"Mamma..."

"Sì?"

"L'ho picchiato perché mi dava fastidio."

"Fastidio cosa?"

"Mi dava fastidio che lui avesse attorno tutti quegli amici e io no."

Il suo cuore di madre si strinse con una stretta dolorosa.

"Oh, Jas... sai che non sarà sempre così. Col tempo tutti trovano le persone giuste nella propria vita."

"Lo dici sempre."

"Perché ne sono fortemente convinta."

"Potrebbe essere diverso per me. In fondo tutti sanno leggere, io faccio fatica. Potrei essere dislessico delle relazioni sociali... o che ne so."

"Non esiste nessuna malattia del genere, Jasper. Forse è solo un problema adolescenziale... sei sempre così nervoso. Appena crescerai tutto andrà meglio."

Il tintinnio dei piatti spense la conversazione, e quando anche il tintinnio dei piatti si spense si accese il ronzio della televisione, prima, e della lavastoviglie, poi. Una serata come tutte le altre di tutti gli altri anni di tutte le vite di tutte le persone di tutta la via. O forse no. Jasper aveva le sue cose a cui badare, le sue chat su Whatsapp a cui rispondere o i video di Magic da guardare su YouTube. Sua madre invece si sdraiò sul divano a guardare una datatissima replica di un qualche film horror che sapeva a memoria. Tutto si spense, tutto fece silenzio.

Quando Larissa aprì di nuovo gli occhi erano le 3:12 del mattino. Si era addormentata davanti alla televisione, nonostante gli zombie che inseguivano il protagonista. Improvvisamente uno scricchiolio attirò la sua attenzione. La finestra del soggiorno era spalancata ed entrava un refolo di aria gelida. Lei aveva chiuso tutte le finestre, ne era più che certa. Intimorita, corse subito a controllare la stanza del figlio, il quale però dormiva beato nel suo lettuccio addossato a una parete, completamente avvolto nell'ombra gettata dalla porta spalancata della camera. Nulla sembrava essere stato spostato. Pensierosa e agitata Larissa Smith chiuse la finestra incriminata e si mise in camera sua, nel suo letto, a fissare il soffitto.

Nella casa di uno Smith tutto è normale, non può accadere nulla di strano.

Ma il DNA delle cose non è sempre d'accordo.

Prima che fossero le quattro, un urlo straziante squarciò la notte.




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