61. Famiglia è chi famiglia fa

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Quando Shoshanah Beverly aprì i suoi occhi violetti ritrovandosi a fissare il soffitto di legno della sua silenziosa cabina, fu certa di due cose fondamentali.  

Primo: il mondo si trovava in uno stato di quieta perfezione. Una perfezione che può essere data solo da uno spesso mantello di neve, dolcemente adagiato sulle colline di Long Island. 

Secondo: anche l'ultimo semidio, come un uccelli migratore, aveva varcato i confini del Campo Mezzosangue per ricongiungersi a chiunque lo stesse aspettando, vicino o lontano.  

Shoshanah era l'unica rimasta. Ne ebbe la certezza viscerale, come un tamburellio leggero di paura alla bocca dello stomaco. Un pianeta silenzioso in cui lei e lei sola faceva compagnia alla neve, alle piante di fragole addormentate e al mormorante fuoco di Estia.  

Era un pensiero tanto grande per una bimba così piccola che tutto il suo corpo si irrigidì sotto le coperte, dritto come un fuso, tutto tirato. Le piccole mani eterocrome si strinsero in altrettanti piccoli pugni attorno al lembo di pigiama più vicino e la bambina fu scossa da un unico, vibrante brivido. Sarebbe congelata? Morta assiderata? Uccisa dalla solitudine? Si poteva morire, di solitudine? Un bambino lasciato solo a Natale poteva farlo? 

Quel pensiero coinvolse la mente di Shoshanah in un complicato processo di domande e risposte e probabilmente sarebbe rimasta lì per ore, per giorni, per anni... se fosse stata davvero sola, in tutto il Campo. 

"Shoshanah? Ma sei ancora a letto?" 

La voce dal tono vivace della signorina Cadmy la fece sobbalzare. Non si era accorta che era entrata nella casa. Girò il viso verso destra quando udì i passi pesanti della donna avanzare verso di lei e si trovò ad incrociare i suoi occhi gialli.  

Era da pochi mesi che era arrivata al Campo e ancora non si era del tutto abituata alle sue dimensioni mitologiche. Per questo rimase imbozzolata nel lettino, a fissarla con gli occhi sgranati, immobile.  

Da parte sua, Miss Cadmy si preoccupò un poco.  

"Shoshanah?" chiese, con tono più gentile "Hey, va tutto bene?"  

La bimba la guardò e dall'alto dei suoi nove anni, chiese: "Si può morire di solitudine?" 

Fu il turno di Scarlett di rimanere senza parole.  

"Perché?" 

"Non lo so. Ma si muore?" 

"Sì. Può succedere. Penso." 

"E io sto morendo?" 

"Bambina mia, ti senti bene?" 

Scarlett si sedette sul pavimento di legno della cabina e scostò le coperte dal viso e collo di Shoshanah. Nell'esatto istante in cui le dita della volpe sfioravano la sua guancia, gli occhi della bimba divennero lucidi. 

"Sono una bambina cattiva." disse, decisa, senza singhiozzi. 

"Eh? Perché mai?" 

"Perché tutti sono tornati a casa. E io no." 

"Tu ci vorresti tornare a casa?" 

"No. Ed è per questo." 

"Questo cosa?" 

"Che sono una bambina cattiva." 

Scarlett non chiese e non disse altro. Si alzò in piedi e si abbassò sul lettino, avvolse Shoshanah nelle sue coperte e si risedette sul pavimento, tenendo quell'involto pieno di capelli e disperazione tra le braccia.  

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora