28. Ave atque Vale

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Avrebbe dato tutto per qualche fauno impiccione in quel momento. O anche per la punizione nelle armerie, per la calca al foro... anche per quel lamentoso di Terminus! Avrebbe preferito tutte le rotture formali di Campo Giove in quel momento, addirittura il dolore della marchiatura un centinaio di volte, pur di non essere in quella situazione. Oliver e Tomika erano pochi passi avanti a lei ma a stento riusciva a distinguerli nel buio della notte, guidata solo dal luccichio delle loro armature e dalla paura. 

La paura. Se ne sentiva il corpo invaso.

Aggiunse mentalmente alla lista che avrebbe dato qualsiasi cosa anche per essere a un discorso del Pretore Wythworth sul valore immenso della disciplina e del Centurione Marianne Bones sull'importanza dalla Quarta Coorte. Si sarebbe sorbita di tutto pur di essere al caldo nel suo amatissimo Campo che era diventato casa sua. Ma se ci fossero delle parole per descrivere in toto la vita di un qualsiasi semidio, allora quelle sarebbero di sicuro: e invece no. L'intera vita di ogni singolo mezzosangue, greco o romano che sia, nel suo cervello venne classificata sotto quelle tre nefaste parole che facevano più paura di ti vedo ingrassata oppure ti devo parlare. Maledisse mentalmente la sua pessima idea di accorparsi a quella missione solo per poter dimostrare a Marianne Bones, un'arrogante figlia di Giano, il suo centurione, che anche lei aveva lo spirito di una vera romana.

Così era partita assieme a Oliver e Tomika per correre dietro all'ennesima profezia incomprensibile che non pareva avere né capo né coda (come tutte le profezie). Così si erano trovati inseguiti da un folto gruppo di arpie impazzite poco a est di San Francisco. Così avevano dovuto cedere due dei loro zaini carichi di provviste allo stormo inferocito. Così erano stati trovati da qualche altro mostro, come se fossero tutti sulle loro tracce o come se fosse un infernale flash mob di cui loro non erano stati informati. Oliver era allo stremo delle forze ma tentava di correre nonostante la profonda ferita al torace fasciata in fretta e furia da Tomika, un'abile guaritrice figlia di Apollo che aveva più l'aspetto di una figlia di Marte. Tuttavia a MyKayla non serviva essere un'esperta in strategia o in tattiche di guerra e nemmeno avere il dono della profezia per capire che il loro terzetto avrebbe finito le energie per scappare al più presto dei cavalli carnivori che li stavano inseguendo da una ventina di minuti. Oliver aveva tentato di affrontarli ma lo scontro si era presto rivelato una pessima idea costringendoli alla ritirata più fallimentare della storia delle imprese. Tutto ciò che riuscivano a fare era rallentarli, grazie alle potenti raffiche di vento che ogni tanto MyKayla riusciva a generare. Non sarebbero potuti andare avanti all'infinito, le energie stavano finendo. Non avevano ambrosia e il nettare era stato rubato dalle Arpie.

Sarebbero morti.

Sarebbero stati mangiati.

Campo Giove sarebbe sparito inghiottito dal nulla perché loro non erano riusciti a completare la loro missione.

Le parole ancora le risuonavano nelle orecchie come un lugubre annuncio di morte.

Delle nebbie della storia giran le rote

Le mura intatte e le nicchie violate

Fan sorgere spettri dalle lapidi vuote

Per versare il sangue di vite rubate

La nuova eternità giungerà alla fine

Distrutta dal nulla di un erede mai nato

Il rosso frutto macchierà mani assassine

E tutto sarà cenere per volere del fato

Da secoli eterni il ritornello risuona

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora