83. Come dirsi addio

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Chi crede che Ade sia il più oscuro, il più complesso, quello con più segreti tra tutti gli dei, di certo non ha mai conosciuto a sufficienza il mondo della mitologia greca. Ade ha solo il titolo di re degli Inferi, colui che mantiene l'ordine nell'Oltre. È Thanatos che chiama a sé le anime, è Hermes che le accompagna nel loro ultimo viaggio. Ma è Dioniso la divinità con il rapporto più complesso con la morte. Oh sì, l'aspetto di quel vecchio ubriacone non dà alcun indizio su questo sua strana caratteristica, ma in fondo non c'è da stupirsi: è pur sempre la divinità della follia e del caos cosmico. Una persona di carattere difficile per un motivo: chi non lo sarebbe dopo essere morto due e risorto tre volte?

La morte aveva sempre avuto una potente attrattiva su Shoshanah: l'aveva sempre trattata con una deferente sacralità, senza alcuna paura, con un gusto straordinariamente orfico. Non era come Jasper: non sentiva voci, non captava presenze. Non aveva alcuna connessione con i defunti. Quello che l'aveva sempre affascinata, silenziosamente, era il mistero della morte nel momento del trapasso. L'anima se n'era già andata? Si trovava già ai neri cancelli dell'Orco? Oppure si agitava nel vento, ancora legata con un filo al corpo? Sho sapeva che non si poteva entrare negli Inferi senza pagare il Traghettatore ed era cosciente del fatto che senza un degno funerale, nessuna persona trapassata avrebbe trovato pace. Perché non era vero che le spoglie mortali sono un guscio vuoto di cui non ci si può curare, una volta defunti: ci hanno accompagnato letteralmente per tutta la vita, meritano anche loro un briciolo di quella dignità che all'anima è data tout court.

Per molti inverni, tutti quelli che aveva trascorso al Campo, quando non c'era altra anima viva se non quella delle due insegnanti, Shoshanah aveva camminato per boschi, prati e campi innevati, ascoltando, odorando e guardando la piccola morte in tutte le sue sfumature. Aveva raccolto farfalle congelate e tentato di ridare loro la vita nascondendole tra le mani e soffiando fiato caldo, così come aveva affondato le dita nel pelo di una carcassa di cervo, rimasto per metà imprigionato nel lago ghiacciato, chiedendosi dove fosse la sua anima e se avesse raggiunto i Campi Elisi degli ungulati. Aveva trovato uccellini avvelenati da bacche ingannatrici e ragni cristallizzati su ragnatele di brina. Si era seduta sul molo del lago e poi in riva al mare a guardare i pesci, immobili, in attesa di un po' di calore estivo. Era successo in quei momenti che in lei nascesse la necessità di occuparsi delle spoglie delle creature. I grappoli d'uva della sua cabina pendevano rigonfi anche nei mesi freddi, ma tutto attorno c'era un mondo che avvizziva, moriva o s'ibernava, aspettando che la primavera rimettesse in moto il cerchio della vita. C'era fascinazione e un certo segreto affetto nei riguardi di ciò che non era più vivo, un sentimento sconfinato di compassione, come quando si guarda un orsetto di peluche mal ridotto abbandonato per strada. Shoshanah aveva sentito di dover fare qualcosa perché era la vena sotterranea del mistero dionisiaco che le sussurrava di farlo, quella stessa vena che a volte generava inquietudine e follia nelle donne, facendole divenire menadi. Pulsava lenta, ma scavava nel cuore dell'ultima figlia di Dioniso, cercando un proprio spazio in cui sfociare. Era sempre stato così difficile per tutti comprendere Sho, proprio come lo era per gli dei comprendere suo padre: un bizzarro aspetto, un carattere difficile, poche o nulle interazioni sociali. Ma dietro i medesimi occhi violetti stillava lo stesso potere.

Quando Sho si ritrovò tra le braccia il corpo sanguinante di Fabrice, capì dove l'avrebbe spinta quel fascino che aveva sempre posseduto per tutto ciò che era sulla via del trapasso. Mentre tutti si affannavano a capire le conseguenze di ciò che era accaduto e Jazlynn impazziva dal dolore a causa delle parole di Jasper, Shoshanah raccolse le forze e si alzò, stringendosi addosso il suo amico. Aveva pianto, sì. Era la seconda o forse la terza volta che succedeva nella sua vita. Prima Scarlett, poi lui. Chi altri si sarebbero presi gli dei? Ciò che la consolava è che non c'erano altri legami forti da spezzare. Ora era sola, così come lo era stata molti anni prima, quando la sua vita non valeva neanche le attenzioni della propria famiglia. Scacciò subito il pensiero di quelle persone e si mise a trascinare Fabrice verso le scale che portavano alle porte del naos. Non voleva stare in quel luogo un minuto di più. Non voleva fare nulla di sacro davanti a quella maledetta statua.

Cercò di alzargli le gambe ma, nonostante fosse molto leggero, le era impossibile, essendo più bassa di lui. Tutti gli altri semidei non avevano detto o fatto nulla nel momento in cui l'avevano vista agire in modo così strano, ma quando la notò in difficoltà, Jack lasciò le fila dei suoi fratelli e venne ad aiutarla. Sollevò delicatamente il corpo del ragazzino e senza dire una parola seguì la figlia di Dioniso oltre le porte, dove la notte dominava ancora incontrastata.

Il cortile era buio, ma la sabbia riluceva di un biancore d'osso sotto la luce della luna. Sho non si stupì che fosse piena. Non si guardò indietro, sapendo che Jack la stava seguendo, come un portatore di portantina. Contò i suoi passi, fino a che si trovò a un giusto angolo e verso un determinato punto cardinale, poi si fermò e guardò Jack. Lui le si avvicinò e chiese con gli occhi cosa fare. Lei gli indicò il suolo e Jack posò attento il corpo di Brice nel punto indicato. Si rialzò e rimase a osservarlo. Pallido e imbrattato di sangue, sembrava un bambino addormentato dopo una festa dei colori.

Sperò che Shoshanah dicesse qualcosa, ma per il rito che voleva compiere non ce n'era alcun bisogno. Si limitò a chiudere gli occhi e a stendere le mani con le dita ben aperte. Attese.

Jack non si era mai interessato di piante, non aveva mai nemmeno avuto il pollice verde, ma non gli sfuggì il brivido che percorse la foresta, quella massa verde oltre le mura entro cui erano confinati. Sentì gli alberi sospirare in coro e le erbe drizzarsi sui loro steli, come se avessero udito un richiamo conosciuto.

Subito dopo avvertì una leggera vibrazione sotto i suoi piedi che andò intensificandosi di minuto in minuto, fino a divenire stabile e a fargli battere i denti. Trasalì quando il primo germoglio bucò la dura crosta di terra battuta, ma non ebbe il tempo di stupirsi: dopo di lui ne spuntarono altri, piccole punte verdi che crescevano velocemente. I delicati fusticini si ingrossarono e divennero piccoli tronchi ritorti, foglie larghe s'aprirono all'aria e alla luce della luna, mentre tutte assieme sollevavano pian piano il corpo di Brice, fino a costruire sotto di lui un vero e proprio baldacchino. Il suo braccio sinistro, scivolato lungo il fianco della struttura, fu delicatamente rimesso al suo posto da un bocciolo prima che questo si aprisse in un lungo fiore bianco, dalla forma di trombetta. Uno dopo l'altro sbocciarono tutti gli altri, illuminando con il loro strano candore il lettino su cui Fabrice ora sembrava dormire. Un profumo dolce strinse la gola di Jack, come una melodia malinconica. Ebbe il desiderio di sfiorare uno di quei bellissimi calici, ma Shoshanah sussurrò: "No."

Lui la guardò, ma lei non aveva nemmeno aperto gli occhi.

"Sono velenosi. Come l'edera."

Jack si chiese come lei potesse saperlo, ma poi si perse a osservare quel piccolo miracolo. Nella polvere Fabrice gli aveva fatto pena, ma quello che vedeva ora era il corpo di un principino a cui si stavano per tributare i giusti onori.

Fu solo quando Sho smise si tenere le mani in preghiera che le piante smisero di crescere. Avevano ormai costruito un catafalco d'onore, con un cuscino e una delicata coperta di boccioli non ancora sbocciati a coprire con il loro candore la macchia purpurea che aveva scurito la sua maglietta. Lei aprì gli occhi e incrociò quelli scuri di Jack. Si guardarono in silenzio per un po', condividendo un sentimento che forse non avrebbero più provato, legato al mistero più grande della vita. Così, prima che ci fossero o meno funerali ufficiali, la figlia di Dioniso disse addio al suo più caro amico nel modo bizzarro e magico dei misteri.

"Anche se me l'avevi promesso, Brice." Sussurrò, scostando gli stessi fiori del cui veleno aveva messo in guardia Jack, dando un bacio in fronte al suo corpo. "Avevi promesso che saresti tornato con me."

Mentre lo diceva, il sole sorse, proprio dietro il capo di Fabrice.

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora