76. Istruzioni per l'uso

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La domanda di Iris non rimase, in realtà, in sospeso per molto. Mentre la figlia di Atena si scervellava per trovare una risposta a quel ragionamento, fu un altro figlio della dea glaucopide a scovare una soluzione.

"Iris, Sue! Iris, Sue!" Si udì urlare in coro dal fondo della cittadella fortificata. Entrambe si voltarono, seguite dalla moltitudine che stava seguendo il loro discorso. Erano stati Jasper e Fabrice a parlare: stavano correndo loro incontro.

"Che succede?" Domandò Sue, improvvisamente in allarme e pronta a trovarsi dinnanzi all'ennesimo pericolo. I due ragazzini arrivarono da loro spompati e dovettero prendersi un intero minuto per recuperare il fiato perso, cosa che costò parecchia pazienza a tutti.

"Quindi?" Chiese nervosamente Iris, che ormai era una corda di violino ben tesa. "Cosa? Cosa c'è?"

"C'è... un... un..." Balbettò Jas, col fiatone.

"Un cosa?"

"Un naos." Completò Brice, espirando una boccata rumorosa.

Il silenzio dei presenti si fece greve come se all'improvviso il cielo avesse cominciato a pesare su di loro. Iris fissò gli occhi grigi di suo fratello. Qualsiasi persona avrebbe potuto immaginare le rotelle del complessissimo ingranaggio del suo cervello muoversi a un ritmo forsennato, nel tentativo di capire le implicazioni della scoperta. Alla fine la signorina Collins emise due sole parole.

"Il Palladio."

"Il che?" Fece qualcuno della casa di Ares.

"Il Palladio." Ripeté ad alta voce Iris. Guardò Sue e lo ripeté per la terza volta.

In tutta la loro breve vita i giovani semidei non avevano mai visto Sue diventare bianca come un cencio: era sempre stata di un bel color ambrato, molto mediterraneo, che al massimo virava al ruggine quando si arrabbiava come una iena. Era la prima volta in assoluto che vedevano la sua pelle sbiancare come se il colore fosse stato prosciugato dall'interno.

"È grave."

"È grave?" Domandò Jack, che non era il più informato tra i semidei.

Sue si voltò a guardarlo e parlò molto lentamente, in maniera tale che tutti i presenti sentissero: "Il Palladio è il simulacro che ha sempre protetto la città di Ilio. Troia non poté essere conquistata fino alla sua cattura."

"Questo significa che..." Abbozzò Jack.

"Il Palladio è una statua pregna di potere." Insistette la Musa, trovandosi improvvisamente a ragionare con orrore crescenti dinnanzi alle implicazioni del suo pensiero. "E ha sempre avuto bisogno di una città che lo ospitasse. È come un ragno nella propria ragnatela. Si dice che dopo la caduta di Troia, il Palladio fu trasferito ad Atene o a Roma. Ma io temo che non sia mai uscito da Ilio."

"È per questo che Troia non è morta?" Domandò Iris, cominciando a comprendere.

"È solo rimpicciolita." Concordò Sue. "E si è trasferita con gli dei, divenendo New Troy."

"Quindi il Palladio è l'ingranaggio che fa andare avanti tutta la baracca?" Tagliò corto Gus, il fratello minore di Jack. I figli di Ares desideravano una risposta che portasse ad azioni pratiche, non ragionamenti logici. Per quello ci sarebbe stato tempo dopo.

"Sue" Winton prese la parola, "Se è così..."

"Dobbiamo distruggerlo." Concluse Iris.

Si elevò subito un coro di assensi per quello che era stato detto. Ma certo! Era semplice! Un orologio che perde la sua molla fondamentale smette di ticchettare. Furono tutti d'accordo, tutti tranne Sue, Fabrice e Jasper, che rimasero in silenzio.

"Non è così semplice." Disse Miss Peak, all'improvviso. "Lo avete studiato, ragazzi, ve l'ho insegnato io. Con i simulacri degli dei non si scherza. Non sono mai semplici statue o raffigurazioni: contengono il potere di coloro a cui sono dedicate e spesso anche qualcosa in più. Il Palladio ha una storia infelice alle spalle."

"Ma no, Sue!" Esclamò Jack, ormai partito per la tangente grazie alla speranza di togliersi di torno quella brutta situazione. "Al massimo sarà grande e grosso e chissà quanto tempo ci metteremo, ma verrà giù."

"Verrà giù!" Fu l'urlo comune di tutti. Sue rimase sulle sue posizioni, sempre più pallida, ma pregò Jasper e Brice di accompagnarli al naos. Quando la Musa incrociò gli occhi grigi del figlio di Atena, seppe di avere ragione. C'era qualcosa che non andava e i due ragazzini l'avevano già individuato, solo che nessuno aveva lasciato loro il tempo di esprimersi. In ogni caso la coppia si voltò e guidò il gruppo, mentre Helen, aiutata da Marissa, rimetteva in piedi il povero Nigel, che piagnucolava per via del dolore alla gamba su cui era malamente caduto.


Il naos, un'ampia sala circolare, sarebbe passata completamente inosservata se gli occhi malandrini di Jas e Brice non avessero notato le strane maniglie, bianche come avorio con bellissime dorature, che nel totale e polveroso degrado di New Troy davano l'idea di perle in un letamaio. Entrarci era stato semplice: meno semplice era stato uscire. Non a causa di strani incantesimi o pozze di colla a presa rapida, no: quello che aveva paralizzato i due amici era stata prima la vista della statua, poi l'iscrizione incisa su una targa di bronzo celeste a fianco dell'entrata, un avviso a coloro che volevano scendere i tre scalini che conducevano alla magnifica effige.

La stessa sensazione di disagio prese tutti i semidei non appena varcarono quella magnifica soglia. Erano giunti sicuri di portare avanti un'incursione rapida e immediata su una statua, non avevano di certo previsto di trovarsi dinnanzi a un simulacro che ricordava inquietantemente la Statua della Libertà, altissimo, completamente d'oro, spaventoso nella sua magnificenza. Solo Iris e i suoi fratelli sapevano che il Palladio raffigurava la dea Atena, loro madre, ma agli altri fu chiaro una volta che videro la lancia, l'elmo e lo scudo con il volto di Medusa, suoi simboli.

"Beh, è grosso." Commentò Jack. "Molto grosso. Ma possiamo abbatterlo, no? Rob, che ne pensi?"

"Dipende dal materiale." Commentò asciutto il figlio di Efesto, strizzando gli occhi dietro i suoi occhiali. "Potrebbe essere una lega resistente."

"Dobbiamo controllare?" Domandò Sia, già pronta a rendersi utile e avviarsi verso la statua.

"No!" Esclamò Jasper. "Non avete visto questa!"

Tutti si voltarono verso di lui. Jasper e Brice si trovavano proprio sotto la strana targa in bronzo celeste. Sue, al loro fianco, stava già leggendo le lettere greche che vi erano state incise e il suo colorito aveva iniziato a virare verso il grigio cenere.

"Come avevo previsto." Sussurrò.

"Cosa?" Chiese la gente in coro.

"Per un tocco, sepolti vivi

Tutti alla volta d'asfodelo i declivi.

Per un tocco, vita che langue

tutto scolpito per un sacrificio di sangue.

Per un tocco, uno solo all'Averno

l'altro io del principino d'inverno." Lesse Sue, con voce incolore.

Il silenzio calò in tutta la sala. Era l'ennesima rima criptica di cui non si capiva assolutamente nulla, se non una cosa: era una minaccia. La prima strofa era sufficientemente chiara: se avessero toccato quella statua, sarebbero andati tutti all'inferno, e non per modo di dire. Una strana tristezza priva di energia corse serpeggiando tra i presenti. I ragazzini cominciarono a guardarsi tra loro, rivedendo nello sguardo del vicino la stessa infelicità esausta. Sue sentì gli occhi pizzicare: forse quella era davvero la fine.

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora