64. Frammenti di espiazione

224 34 5
                                    

Nigel era fuori di sé. Aveva visto tutto. Era stato testimone di ogni cosa accaduta sul campo dinnanzi alle oscure porte di New Troy. Aveva visto gli eserciti scontrarsi la prima volta, assistito alla morte di Scarlett, udito l'urlo di Robert, successivamente quello corale dei feriti dalle sue fiamme e infine aveva visto il sole calare e risorgere, con la promessa di una seconda battaglia. Era stato un incubo, una girandola di dolore e sofferenza da cui aveva tentato di risvegliarsi a furia di pizzicotti, il cui ricordo aveva iniziato a illividire sulle pelle delle braccia. All'inizio aveva tentato di distogliere lo sguardo da quell'orrore, ma ogni volta che ci aveva provato aveva immediatamente provato il desiderio bruciante e vitale di tornare a osservare. Era un modo di punirsi, di ricordare a se stesso che per un suo stupido capriccio stavano pagando decine di persone innocente. Povero Nigel! Se solo avesse accettato quanto detto dal suo antico fratello di sangue avrebbe capito che tutto quello sarebbe successo in ogni caso, scritto com'era nelle pagine del Fato con un inchiostro indelebile.

"Lasciatemi andare! Lasciatemi andare!" Sbraitava isterico, correndo avanti e indietro lungo le mura, presso cui i due soldati che gli facevano la guardia lo lasciavano fare. Nessuno lo costringeva più in una celletta buia: poteva, anzi, doveva vedere quello che succedeva nella piana. Era quello che aveva fatto la prima Elena, giusto?  

Avrebbe potuto urlare per ore, avrebbe potuto anche spifferare al vento quello che aveva capito sarebbe successo, tanto nessuno l'avrebbe sentito. Perché era questa la buffa particolarità del Destino: nessuno, soprattutto non un banale figlio di Iride, avrebbe potuto opporsi. In fondo, se non c'era riuscita un'immortale Volpe Cadmea, come si poteva pensare che ci sarebbe riuscito il semidio dei regali sbagliati? 

Quando il sole calava e gli spettri dei soldati si ritiravano nella loro bianca, inespugnabile rocca, le voci che corrompevano la mente di Jazlynn la lasciavano sola, dileguandosi alle prime luci della luna, come disgustate dalla pace della sera. Cosa lasciavano sul campo? Una creatura confusa, esausta, piena di dolori. Il primo giorno era stato facile: quando la notte era scesa, si era sentita solo molto stanca. Non era una sensazione sgradevole per una guerriera come lei, se non fosse stato per la sofferenza causata dalla dipartita di Scarlett. Le cose però erano cambiate con il secondo giorno: aveva combattuto con la stessa ferocia perché le voci chiedevano questo, ma il suo corpo iniziava a chiedere pietà. La sua mente, invece, iniziava a perdere colpi, manipolata dagli spiriti che prendevano possesso indebito della sua forza di figlia di Ares. Certo, si era resa conto della loro presenza. Sarebbe stato un po' difficile non farlo, dato che i loro sibili rimbombavano nelle circonvoluzioni della sua materia grigia anche ore ed ore dopo la fine dei combattimenti. Ma il fatto era che non aveva presente cosa fossero e allo stesso tempo non ne era spaventata. Era come sentire la voce di una sorella maggiore che non si vede da anni: quasi sconosciuta ma mai davvero estranea. Le voci parlavano con la stessa tonalità del canto del sangue nelle sue vene. Entravano in risonanza quando si trovavano sul campo di battaglia, per questo Jazlynn non riusciva a gestirle. Si ricordava solo vagamente la presenza di Fabrice davanti a sé, mentre falciava nemici. Gli aveva fatto del male? Sperava proprio di no, ma era così stanca da non pensare nemmeno di poter andare a controllare.  

Cosa le stava succedendo? La sua mente prendeva il volo dal suo corpo. Ogni volta che le voci la visitavano, le strappavano forse un po' di ragione? Jazlynn si rese conto di essere in fissa dinnanzi alle porte di New Troy da più di mezz'ora. Si guardò attorno, nessuno era venuto a cercarla. Come dare loro torto: avevano sicuramente visto ciò che era in grado di fare. Per un istante provò un'intensa solitudine e desiderio di risentire le voci dentro di sé. Poi si rese conto che aveva nuovamente iniziato a sragionare e, trascinandosi, tornò al campo per mangiare qualcosa.  

Helen aveva considerato più o meno tutto quello che stava accadendo come un'enorme espiazione del suo errore. Durante la battaglia del primo giorno le avevano ferito la testa. Nulla di grave, a parte il sanguinamento, ma i capelli erano stati rasati alla bell'e meglio per permettere la medicazione. Sembrava un cane appena tornato dal veterinario, al quale rasano mezza chiappa per mettere il chip. Il secondo giorno non era andata meglio. I figli di Ecate avrebbero dovuto essere le avanguardie, provvedere all'effetto sorpresa... ma come poteva esserci effetto sorpresa contro degli spettri? 

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora