2. Mai fidarsi dei benzinai

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La strada scorreva ripetitiva davanti agli occhi dei tre. Un condominio, un cassonetto, un supermercato; un condominio, un supermercato, un cassonetto. Un condominio, un vecchio armato di bastone, un cane e un cassonetto. La normalità della vita certe volte è proprio avvilente, soprattutto agli occhi di chi non nota le stranezze della vita. Marion si girò a guardarlo dal sedile del copilota.

"Allora, campione, non sei felice di saltare la scuola per un giorno? Gabriel ti invidia parecchio per questo." Fece un occhiolino e poi tornò a guardare la strada.

"In realtà no... avrei preferito non essere sospeso."

"Guarda il lato positivo, Jas – intervenne sua madre – passiamo a fare benzina e poi andiamo a comprarti dei pantaloni nuovi."

Quasi peggio della scuola. Il ragazzino si dimenò sul sedile come se quello fosse improvvisamente stato ricoperto di acido e gli bruciasse la pelle.

"Ma uffa."

"Ma uffa lo dico io, non ne posso più di rattopparti quei vecchi jeans. Li hai completamente distrutti. Se non andiamo quando sei a casa, quando?"

"Mai."

L'indesiderata copilota rise. "Sempre così, vedrai che un giorno quando avrai la ragazza insisterai per poterti prendere dei bei vestiti. Lo dicevo ieri anche a Gabriel... quanto è testardo a volte quel ragazzo. Tutto suo padre."

Calò un silenzio ancor più indesiderato della copilota. Se c'era un argomento totalmente tabù per Larissa era proprio la parola "padre".

"Oh... scusa, Larissa, mi è sfuggito."

"No, tranquilla – si affrettò a scusarsi lei – non è niente. Devo smetterla di avere ancora dei complessi su quell'argomento."

Prima che la conversazione potesse procedere per lidi ancora più spinosi, grazie a qualche divina forza benevola, il distributore di benzina comparve all'orizzonte, incastonato tra un brutto palazzo e un brutto supermercato. Il distributore era brutto, ma cosa d'altro ci si sarebbe potuti aspettare da una location così di classe? Solo il benzinaio in tuta blu e sneakers rovinate era più brutto del distributore stesso, tanto che, come se avesse di nuovo cinque anni e i denti da latte, Jasper tentò di fondersi con il sedile, spiaccicandosi per sfuggire agli strani occhi arancioni dello svogliato impiegato.

"Come posso esservi utile, signore?" chiese il tizio, sollevando il cappellino sdrucito per mostrare una pelata macchiata dal sole e da qualcosa di simile all'olio per motori, a giudicare dal colore.

"Il pieno, grazie." Risposte automaticamente la signorina Smith spegnendo il motore e attendendo nella più normale delle maniere che il signor benzinaio facesse quello che doveva fare.

"Comunque sta tranquillo, Jasper. Non sarà questione di più di mezz'ora. Prima delle undici dobbiamo esser – ATTENTO!"

Grazie all'avvertimento materno e alla piccola statura, o forse grazie alla sua testarda ribellione che aveva fatto sì che non allacciasse la cintura di sicurezza, Jasper si abbassò e si infilò nella fessura tra i sedili posteriori e quelli anteriori. Frammenti di cristallo rotto volarono sopra la sua testa quando qualcuno ruppe il finestrino dietro il quale, fino a pochi secondi prima, il ragazzo era stato seduto. Gli occhi delle due donne si spalancarono dal terrore.

"PARTI, LARISSA! MUOVITI!"

Il piede della donna scattò sull'acceleratore proprio mentre un fiotto di benzina, al posto di essere iniettato nel serbatoio veniva iniettato sui sedili posteriori. Jasper non urlava, era troppo impegnato a proteggersi occhi e bocca dal pungente odore della benzina versata a poche decine di centimetri da lui. La gola di tutti i passeggeri iniziò a bruciare. La macchina si avviò di colpo prima che al criminale fosse permesso innaffiare completamente il ragazzino. La vecchia Mazda sfrecciò via come neanche avrebbe fatto un'ambulanza nella peggiore delle emergenze.

"Jasper! Jasper, stai bene?"

"No no, Larissa non ti fermare! Potrebbe seguirci!" urlò in risposta la signora Willow. La pilota accelerò di nuovo, rimettendosi in strada; guidava a tutta velocità con gli occhi spalancati e la bocca sussurrante dal terrore cose incomprensibili.

"Mamma, dobbiamo andare alla polizia." disse Jasper, pieno di rabbia più che di paura, ancora rannicchiato dietro il sedile del copilota.

"No. Ci troverà. Dobbiamo andare da un'altra parte."

"Ma cosa stai dicendo?! Andare dove?! Se andiamo a casa sarà come portargli un invito a darci fuoco mentre dormiamo!"

"NO! – sbottò di nuovo Larissa, sbattendo le mani sul volante e causando uno scossone. – NO. Dobbiamo andare al numero 32B di Harley Street."

"Harley street? – ripeté Jasper cercando in fretta su Google Maps dove fosse quel posto - Ma non conosciamo nessuno che abita lì!"

"BASTA, JASPER. Dobbiamo andare lì."

"E come fai a saperlo?"

Un clacson di un camionista arrabbiato a causa della macchina-pulce che gli aveva appena tagliato la strada rimbombò nelle orecchie di tutti e tre, mai più forte dei cuori che balzavano ancora in gola al minimo scossone della macchina. Jasper fissava la mamma dallo specchietto retrovisore, guidava sicura, ma i suoi occhi erano terrorizzati, come se sentisse di sapere qualcosa che non avrebbe dovuto sapere, come se sentisse la realizzazione di un destino più forte della sua volontà avvenire sotto i suoi polpastrelli.

"Lo so e basta. L'ho sognato. Ed è li che andremo." 

La Seconda IliadeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora